Per imparare a conoscere la Poesia di Giovanna Menegùs non bisogna necessariamente partire dalla sua prima raccolta, Quasi estate (ExCogita Edizioni, 2017) o dalle sue traduzioni in Investitura di voci (96 rue de-La Fontaine Edizioni, 2018); basterebbe partire da qualche suo aforisma o commento o pagina scritta lasciati, quali tracce riconoscibilissime, sul suo blog (www.crudalinfa.com) o sulle pagine delle riviste digitali con le quali collabora.
Proprio così: tracce che nulla ci dicono dell’ ”animale” ma che lo lasciano intuire se non proprio immaginare. Nella intuizione e nella immaginazione compiamo però una operazione già...compiuta in quanto ci riferiamo ad una nostra conoscenza o solo a un pregiudizio, qualcosa insomma che non ci mette di fronte a una sana e pura pulsione (paura, angoscia, curiosità, sorpresa) sulla quale costruire una esperienza.
Imparare a conoscere è cosa diversa da conoscere: è…quasi conoscere.
È già stato detto, ma vale la pena ripeterlo, che la poesia della Menegùs è Poesia del Quasi-niente ovvero del Quasi-tutto.
Proprio come una traccia, “la poesia” può essere l’animale che ricordiamo (perché abbiamo appiccicato una figurina che lo riproduceva su un album, quando eravamo bambini) o l’animale che poco a poco scopriamo (perché seguendo le tracce ci imbattiamo in un ciuffo del suo pelo attaccato ad un albero o perché, all’improvviso, ce lo troviamo di fronte come un’apparizione).
Possiamo fare un esperimento? Per imparare a conoscere la Poesia di Giovanna?
Allora seguiamo le tracce a pg. 47 di questa nuova raccolta di Giovanna Menegùs (L’occhio fotografico, Macchione, 2018).
La poesia è Per un ragazzo di 15 anni e ne rileviamo solo qualche…impronta:
…te ne sei andato/…/non chiederò di vederla ma non la dimentico,/…/E io vorrei dire, scrivere il tuo nome,/…/e non mi do pace/di non averti trovato conosciuto visto fermato/…/ti sento ovunque nell’aria ferma e vuota…/
Queste le tracce dunque che parlano di un…ragazzo morto suicida ma potrebbero benissimo indicare la consolazione che la poetessa cerca per sé o ancora, in generale, le pesanti e profonde impronte della Vita stessa.
E non potrebbe invece essere che tutto questo è solo un Quasi-tutto (ovvero un Quasi-niente) e che invece seguendo le tracce stiamo “solo” imparando a conoscere la Poesia, cioè cosa è la Poesia, cosa fa la Poesia, come fa la Poesia e, soprattutto, perché la Poesia?
Quando leggiamo Giovanna Menegùs ci sentiamo interrogati, incuriositi, meno quieti: dopo aver girato a lungo e tutt’intorno alle parole, la poetessa riesce a comunicarci che quando si mette a fuoco un particolare, inevitabilmente sfochiamo tutto il resto e questo può essere accertato con frequenti letture e alla fine accettato.
«La pretesa di toccare un giorno la verità è un’utopia dogmatica»- diceva Vladimir Jankélévitch- «quel che importa è andare fino in fondo, e siccome ciò che cerchiamo esiste appena, siccome l’essenziale è un quasi-niente, una cosa leggera fra tutte le cose leggere, questa ricerca forsennata tende soprattutto a mostrare qualcosa di cui si può intravedere l’apparizione, ma non verificarla perché svanisce nell’istante stesso in cui appare»
[V. Jankélévitch Il non-so-che e il quasi-niente, Einaudi 2011]
Così quando andiamo alla seconda delle immagini dell’autrice raccolte alla fine del libro [Binario 11, Stazione Cadorna (Milano), 6.7.2016 ] mettiamo a fuoco l’ ”animale” che per un istante ci guarda negli occhi e poi, scartando velocemente, si dilegua proprio come fa la Poesia perché, appunto,…è un immenso “animale”:
Scarto a destra, tu anche,/scarti a sinistra, io anche/…/Passanti sul marciapiede non ci siamo scontrati,/e certo/non c’incontreremo più (pg. 19)
Per la Menegùs, che muove sempre da sottili allusioni,
-E basta un magro ciuffo di betulle/a fingermi la taiga intera, la Transiberiana//prima che Milano si materializzi e il giorno (pg. 16)
l’occhio fotografico quindi diventa il modo poetico più adatto per indicare uno slancio, per iniziare una “caccia” che fa essere senza essere, fa dimenticare tutto concentrandosi su quasi-niente (una piccola traccia) che ci fa lambire le cose, senza mai cadere nella presunzione di afferrarle perfettamente.
In una fotografia, come in una poesia, la verità il più delle volte è quella che non si vede:
Bianchi immobili leggeri come piccole/statue di balsa/…/gli aironi guardabuoi, a Pegognaga/(che cosa guardano?) (pg.29)
Davvero molte delle composizioni raccolte in questo L’occhio fotografico respirano e ci fanno respirare un’aria di oriente ma più che richiamare le poesie T’sang o Zen azzarderei un’ evidente analogia con il sumi-e tanto per rimanere nel campo delle …immagini.
Il sumi-e oltre ad essere un’arte pittorica, come intendiamo in occidente, è una porta d’ingresso per entrare o restare in sintonia con la natura e le sue leggi fondamentali. Nelle immagini sumi-e ( ne è un esempio la copertina della raccolta) si cerca di manifestare o suggerire in pochissimi tratti l’essenza delle cose, quelle lasciate da tracce evidenti e quelle più sfuggenti ma evidentemente presenti anch’esse (davvero le foglie sono foglie?). I segni lasciati sulla carta di riso dall’inchiostro nero nelle composizioni sumi-e sono delle vere e proprie tracce in grado di mostrarci anche quello che non si vede.
Proprio come la poesia di Giovanna Menegùs, soprattutto in questa parte della raccolta, riesce a fare.
Qui leggiamo ma soprattutto osserviamo degli “schizzi” in bianco e nero, dove il bianco del foglio o quello tra un verso (una parola) e l’altro (l’altra), come accade nella carta di riso del sumi-e, rappresenta l’universo. E il nero, la parola, il verso dunque, come l’inchiostro di china del sumi-e, sono le forme materiali che in esso appaiono e scompaiono senza sosta.
In questi epigrammi lirici - la sezione più riuscita a nostro parere insieme a quella che dà il titolo alla raccolta - poche parole sono sufficienti a esprimere il senso di un occhio che osserva, proprio come accade nel sumi-e dove pochi tratti d’inchiostro nero tracciati su un semplice foglio di carta, permettono di rappresentare un mondo com-plesso nel suo… intreccio tra visibile e invisibile.
Su questo foglio della Menegùs, come accade sulla carta di riso, sembra che sia stato concesso un solo colpo …di pennello per ogni tratto, proprio solo quella parola in quel suo verso; ogni “ritocco” viene immediatamente percepito e tutto il nostro apparato mentale, che di solito complica e confonde l’immagine (e la vita), viene così dissolto restituendoci una visione; restituendoci la scoperta.
È lì davanti a noi, l’animale immenso del quale abbiamo seguito le tracce.
Lo abbiamo quasi…preso.
Passano uccelli nel sole oltre il vetro:/veloci sono da dentro/ombre grigie/sul bianco/ del letto (pg. 63)
Lavorano i merli tra cespugli/bassi che frusciano e s’aprono/in voli improvvisi rapidissimi (pg. 64)
È un immenso animale, l’estate/lungo i giorni torridi e accecati/nel suo cavo gli umani/formicolanti spiano/l’ascendere, il lento declinare/della grande/groppa indomita…[…] (pg. 69)
Come nuotano gli uccelli nell’aria/del mattino e tu/solo per attimi ne scorgi i tuffi,/gli affondi finché svoltano/l’angolo del muro il tetto sono già oltre (pg. 78)
Passi che lasciano orme nell’aria/della notte, li vedi/alonati d’oro/allontanandosi/-camminano/senza toccare terra/lungo un loro/lieve chiaro sentiero (pg.84)
È lì davanti a noi, la preda immensa della quale abbiamo seguito le tracce.
L'abbiamo quasi…presa.
La Poesia.
Grazie, Giuseppe!
RispondiEliminaCommento poco critico, poco filologico, ma per questa volta gioiosamente me lo concedo!
Complimenti alla poetessa e grazie al critico e filologo Giuseppe Ferrara. Davvero un bel libro!
RispondiEliminaLe poesie della Menegus sono sempre simili a "viaggi" che partono da lontano e arrivano sempre al centro (scuotendolo) del cuore di chi legge. Nelle sue parole, nelle sue descrizioni si "riconosce" sempre una parte "viva d'anima" di noi stessi, ci si incontra infondo, così come accade nella parte più evocativa di una musica, di una lirica che scopre di te ciò che forse nemmeno tu pe savi più di avere. Poesia e la sua funzione:poesia!
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