lunedì 9 aprile 2018

Quasi estate: la cavalletta di van Gogh

Vincent van Gogh mischiava en plein air il mondo ai colori, impastava per così dire la Natura all’Anima: «In tutta la natura, » - diceva - «negli alberi, ad esempio, vedo delle espressioni e...un’anima».
Non c’è da meravigliarsi dunque se una cavalletta vide sulla tela del pittore dei veri alberi d’ulivo dove posarsi. La storia, seppure recentissima, è nota: quella cavalletta, che nel 1889 si appoggiò sugli Ulivi di van Gogh - un verde tra verdi –, è rimasta lì nascosta, nel suo paradiso quadrato, per 128 anni. Van Gogh, senza accorgersene, la mischiò, letteralmente, al suo colore.

Accade lo stesso per la poesia e per quei poeti che mischiano le parole al mondo; può succedere cioè che distrattamente, senza averne reale volontà e coscienza, a un poeta, o come nel caso di Giovanna Menegus, a una poeta, succeda di intrappolare nella sua Poesia...una cavalletta.

La cavalletta (Natura) che si mischia all’Arte-Technè (Spirito) dell’uomo potrebbe di per sé rappresentare un fatto traumatico: si pensi all’invasione della tecnica nell’ambiente.
Mescolare è altra cosa. Integrare, mimetizzare: fingere! ...è tutta un’altra cosa.

Trappole da evitare facendo poesia:

finta profondità (sentenze ovvia filosofia)
finta leggerezza (svagatezza pretesa ironia)
facile impressionismo (acquerelli pastelli autoscatti
fotografia)
musicali consolazioni (rime assonanze magia
fantasia)
amore dolore fiore ardore (impronunciabili ormai,
suvvia)

Verificato d’essere in trappola
evitare dunque di fare poesia?

[Instance da la lettre, pg.82]


L’autentica poesia è figlia di un paradosso perché il poeta non possiede nulla a cominciare dalle sue contraddizioni per finire alle chiavi della sua trappola. Anzi il poeta è colui che pur sapendo d’essere in trappola, la arreda!
In una società dove l’unica cosa vera è la simulazione, la poeta (manco a dirlo) finge e finge così completamente che arriva a fingere che è profondità, leggerezza, amore, dolore, colore, gioia, la gioia, il colore, il dolore, l’amore, la leggerezza e la profondità che lei vive veramente.

I fiori della Menegus sono scuri. Gli uccelli della Menegus non cantano.
È lei il colore di quei fiori; è lei il canto di quegli uccelli.

I fiori e gli uccelli di cui parla la Menegus nelle prime due sezioni della sua raccolta,Quasi estate[1],sono gli... arredi della trappola: la Menegus sa bene che una Poesia è accettabile se si presenta come un vortice di immagini e di suoni e questi colori (dei fiori) risultano accettabili perché si presentano come l’evoluzione del buio; lo stesso vale per il canto appena accennato degli uccelli come evoluzione del silenzio.

Il trepido saliscendi dei merli
tesse le ultime foglie gialle e brune
dei ciliegi – ma lontani

affondano i corvi nella nebbia
senza un suono

lividi cachi
pendono tra i rami

[Fiori, pg.17]

Gli uccelli di Ornithology... gracchiano nomi umani (pg.35);... covano senza più un trillo o un frullo (pg.36);... esplodono in un rauco grido (pg.38) ma non cantano...figurarsi se possono accorgersi di una cavalletta che salta proprio davanti ai loro becchi!
Non possiamo certamente aspettare 128 anni per scoprirla questa cavalletta! Allora leggiamo e rileggiamo attentamente la Poesia di Giovanna. Ricominciamo dalla prima, anzi no dal Marzo proemiale a pg.9

Da dove è tornata ora questa luce

e dall’orlo celeste del visibile
gemmano bocci foglie ovunque premono

-membrana d’aria e luce che palpita si lacera
per tutta
l’alta cupola del cielo

guscio d’uovo
si crepa e schiude

genera rigenera

La Notte, prima deità del mondo, l’Erebo degli orfici, è anche l’ Uovo del mondo.
La cavalletta sta saltando nel...libro.

Notte e Uovo del Mondo dunque.

Perché non coniugarli come ha fatto la filosofa e saggista spagnola Maria Zambrano? Perché non coniugare la profondità della rivelazione dell’ “essere” nascosto, con la parola che rileva la luce della profondità dell’essere, la presenza del dio Fanes, che genera la pluralità nella notte e offre la parola a chi non ce l’ha?


Più voglio vedere, più serro gli occhi
e cresce il buio: addensa
in nera lava liquefatta
brace – Vedere la tenebra

Nel giorno ancora cerco
i bagliori infranti del suo
brulicare dietro le palpebre
e bruciare lungo gli orizzonti
-gli specchi opachi delle pozzanghere
che cieche luccicano
nell’asfalto-
e l’affiorare luce dalla notte
in fondo squarcio fiotto di fiamma
e a un tratto quieto
piano schiudersi:
creazione delle creature -che tutte hanno
ali d’ombra e tralci di foglie, fronte
dolce dentro l’alto buio
radioso

Ma l’insonne notte fin dentro il giorno
reca pelle e grande manto di serpente:
questa lucida liquida
guaina
nera-ardente
dove forme e esseri erompono
dall’oscurità

prigionieri sguainati lottano emergono

emergono

emergono

(Dylan Thomas, “Vision and Prayer” )

[Fiori, pg.20]


Diceva la Zambrano : «Si dimentica sempre la lacerazione e il patimento dell’Aurora, il suo parto, se non si tiene conto della Notte, se la si vede unicamente come l’annuncio del Giorno»[2].

Al Giorno splendente della coscienza individuale che, spesso, deborda in un pensiero calcolante, in una ragione unilaterale, fideistica o dogmatica, è meglio preferire la figura mitica di Aurora, sorella della Notte, promessa dell’alba (quasi giorno), così come promessa del silenzio, è la poesia.
Ed ecco i fiori quasi colorati, il quasi canto degli uccelli.
Ecco: Quasi. La cavalletta.
L’avevamo sotto gli occhi fin dall’inizio e come la cavalletta del quadro di van Gogh non l’abbiamo vista immediatamente e , probabilmente, Giovanna non sapeva neanche di averla...ricoperta di parole quando la mischiava, insieme a tutte le altre parole, al mondo.

Ma questa è l’abilità del vero...fingitore.

Chi scrive versi deve prima di tutto fingere nel senso di formare, modellare, rappresentare per mezzo di un materiale (marmo, colore, parola, suono) l’oggetto che sta realizzando senza lasciarsi distrarre da imprevisti come quello di un “insetto” che vuole posarsi sul foglio. Così l’immagine poetica, per essere comunicata, deve passare attraverso la finzione (non come un quasi qualsiasi!).
Dopo averle provate, le emozioni hanno bisogno di essere immaginate e quindi - dopo questo atto nel quale un quasi qualsiasi è diventato il quasi - saranno pronte per essere ...mischiate e rivissute.
Noi lettori, nel suonare la parola, attribuiamo al “letto” un ulteriore significato: non è più ad es. il quasi vissuto dalla poeta né il colore che la poeta ha finto ma si tratta di un quasi, un colore, che riguarda esclusivamente chi legge e il suo personale sdoppiamento: del quasi reale e di quello immaginato. Lo stesso vale per il canto accennato degli uccelli.

La poesia dunque sempre è frutto, sia nella scrittura che nella lettura, di un movimento a spirale generato dalla e-mozione (a cui le recenti scoperte neurobiologiche attribuiscono la funzione di...intuizione razionale) che prosegue poi attraverso la ragione (come atto creativo del fingere) e culmina nella cristallizzazione di un sentimento.
Una dialettica serrata tra mistero e conoscenza attraversa dunque la poesia di Giovanna Menegus. In tale processo creativo la poeta non si lascia vincere dalla suggestione di ciò che è indefinibile (il colore, il suono, etc...) ma cerca di penetrarvi con un costante lavorìo poetico. Tutti i suoi sforzi, così, sono orientati a uscire dal buio e dal silenzio per tendere verso la luce e la parola convincendoci che la bellezza non risiede tanto nel mistero quanto nel desiderio di penetrarlo, così come verrebbe penetrato e/o rotto il guscio di un...uovo.
Questa operazione biologica ma, diciamo pure, quasi misterica, trova nella poeta il suo Orfeo (il solitario) e nella Notte e nell’ Uovo del mondo la sua cosmogonia così ben stabilita e trasmessa da Aristofane negli ... Uccelli (vv. 693 e ss.)

«Nella Notte e sull’Erebo, naviga l’Uovo del mondo che si divide e moltiplica in una generazione infinita. E nel suo essere più recondito, germe della vita e dell’essere, il fuoco. Il fuoco che si fa fiamma, parola...». La vita che continua, di generazione in generazione, a penetrare, a farsi luce...
...quasi estate!

Ecco la cavalletta.

Quasi.

Presa.

IV

La bruna incandescenza del crepuscolo
che vibra intorno,
s’addensa ad ogni angolo:

luce febbricitante incendia
la lunga linea della notte,
nera e sottile come una ferita


[Orfiche, pg. 48]

Riferimenti
[1]- G. Menegus, Quasi estate, ExCogita,(2017)
[2]- M. Zambrano, All'ombra del Dio sconosciuto, a cura di E. Laurenzi, Pratiche-il Saggiatore, Milano (1997)