venerdì 28 ottobre 2016

La Casa sull'Albero

C’è una poesia di Kathleen Jamie che mi fa sentire a casa, una casa grande e accogliente molto più grande di quanto si possa immaginare. Una casa che confina a sud con la Lucania e a Nord con la Scozia. Non è propriamente La casa sull’albero ( questo è il titolo della raccolta di poesie scelte curata da Giorgia Sensi) [1] che desideravamo avere da bambini, ma provoca le stesse sensazioni di allora e ne riproduce lo stesso senso di conforto e protezione.

Questa poesia della poetessa scozzese, nella ri-creazione -così come dovrebbe intendersi la traduzione-di Giorgia Sensi è Glaciale (pg.151)

Una scarpinata di trecento metri, poi un cumulo di vecchie pietre-/un lavoro manuale,/e sempre lo stesso fiume, che scintillava/laggiù/quando i Romani vennero, videro,/e ben presto ci ripensarono.//Troppe montagne, troppe/tribù minacciose/le cui abitudini non ci garberebbero granché/(ma che forse riusciremmo a uguagliare)/troppo grigiore nordico, troppa neve in lontananza.//Su, facciamo una sosta qui, riprendiamo fiato/e inaliamo quel dolce profumo di ginestra/che è in fiore oggi//guardiamo laggiù in fondo per miglia, da ora/e fino a che non ritornerà la lince, e il lupo.

Perché mi fa sentire a casa (e, credo, che riesca a far sentire a casa tutti noi europei)? Prima di tutto perché attinge ad una nostra storia comune risalente, è vero, ai tempi dei Romani ma, che lo si voglia o meno, una Nostra Comune Storia. In secondo luogo ci fa sentire a casa perché mostra paesaggi e territori familiari e riconoscibili da tutti. Ci mostra cioè “casa nostra”.

I Romani sono arrivati fino qui in Scozia, fino qui in Lucania. Hanno costruito strade per raggiungere questi luoghi, strade che ancora oggi percorriamo e che portano nomi familiari per tutti gli europei (via Claudia, Via Augusta,via Appia, via Devana e il Vallo di Adriano).
Su queste strade hanno marciato i soldati di Cesare. È d’obbligo a questo punto ricordare [2] il verso di quindici sillabe che i latini usavano per i canti militari, a margine della loro scansione con le brevi e le lunghe. Nel passaggio dal latino al francese e alle altre lingue latine è successo che quelle 15 sillabe si sono ridotte a 14, a 12 e poi a undici. Cioè l’alessandrino francese e i versi che ne derivano, fino all’endecasillabo, non fanno che ripetere il rumore dei passi delle legioni romane.

E forse questa è un’altra e più calzante ragione, radicata nel ritmo della storia, per la quale questa poesia mi fa sentire a casa : A thousand-foot slog, then a cairn of old stones-

Ma tutta la poesia con quelle immagini vivide del cumulo di vecchie pietre, le troppe montagne, le tribù minacciose, la troppa neve là in lontananza, il profumo di ginestra e, per finire il lupo, mi suggerisce un luogo d’origine riconoscibilissimo : "Ma qui- mi sono detto-si parla della mia terra, della Lucania!". Sono quindi salito su questa casa sull’albero, mi sono accomodato e le sorprese non sono finite.

Kathleen Jamie non parla solo al nostro passato, alla nostra storia e alla nostra geografia ma anche alla nostra scienza e al nostro futuro: quando le parole nel mondo e, viceversa, il mondo nelle parole risuonano così tanto, ciò che in realtà vibra è la Poesia:

...Certo, fu avventato, un loch così grande, la marea,/ma siamo vivi – e abbiamo perfino fatto figli/con donne e uomini non ancora incontrati/quella notte che uscimmo, e reclamammo come nostri/il cielo e l’acqua salmastra, i colli feriti/che i mirtilli tempestavano di nero,/le nostre cavigliere luccicanti nell’acqua bassa/mentre issavamo i remi e saltavamo giù,/per tirare la barca in secco sulla spiaggia del cottage. [da Attraversando il loch (pg.33)]

Questa è una poesia sulla paura...nucleare e su quello che l’Uomo sta facendo al Grande Loch che è la Terra (dallo spazio gli Oceani non sembrano forse grandi loch e giganteschi firth gli estuari?).

Nella frase poetica della poetessa scozzese, perfettamente riprodotta nella sua ri-creazione italiana, le sfere di risonanza si armonizzano per addizione, amplificando il campo di suggestioni come accade per esempio in Spirea a pg.67 preceduta da questo esergo: Secondo la tradizione certe poete gaeliche/venivano sepolte a faccia in giù.

Così la seppellirono, e si volsero verso casa,/un salmo uggioso/li avvolgeva come nebbia,//non sapevano che il liquido/che gocciolava dalle sue labbra/si sarebbe fatto strada là sotto,...

E nel verso un salmo uggioso li avvolgeva come nebbia, si capisce che non sempre le parole sono vive mentre la saliva e i semi impigliati nei capelli della strega-poetessa continuano, nel silenzio tombale, a vivere e a produrre ancora vita e altre parole.

Queste stesse sfere di risonanza possono anche annullarsi per lasciare un residuo di senso più preciso: per esempio nella Le lune di Galileo (pg.133) i satelliti di Giove ruotano intorno al pianeta come i figli della poetessa girano intorno alla mamma ma nessun strumento sarà in grado di rassicurare tanto gli uni che gli altri. Qualunque balletto sia esso di perline, di timidi giovani talenti, delle lunicelle di Galileo, seguirà il proprio inalterabile passaggio sulla scena.

Spesso queste due forme di armonizzazione sono simultanee: è quello che i logici chiamano il gioco di estensione e comprensione e che il Poeta, specialmente quando è un grande Poeta, gioca spontaneamente come un bambino che sale sulla casa costruita sull’albero e da lì domina l’Universo.

...-ma bacche rosse//di biancospino si tendevano verso di me,/e tra le fogli cadute/sbocciavano fiorellini bianchi/tardivi. Cercai//di chiamarti, o credo/di averlo fatto, ma il tuo nome/mi si appassì sulla lingua,/...
Potreiscomparire per una vita,/forse sette anni!-/e una joie de vivre così repentina/che quando un fosso mi si spalancò//davanti all’improvviso/lo saltai, leggera come una ragazzina-/sì, lo saltai di netto,/senza neppure pensarci su.
[da Incantesimo (pg.141)]

Qui evidentemente si allude ad un’esperienza privilegiata tra l’uomo e il mondo di cui la poetessa si fa carico, istintivamente, di ravvivare: la relazione che consente di sentire prossimi e connessi elementi che la nostra quotidianità porta ad isolare e ad analizzare separatamente; la relazione che permette di superare gli ostacoli- saltare un fosso che si spalanca davanti all’improvviso- senza neppure pensarci su.

In questa poesia la Jamie riconosce e rispetta le forme primitive, meglio sarebbe dire primordiali, quelle forme cioè anteriori all’egemonia razionale, al pensiero analitico e salvate da questo strapotere per preservare integra una cosmovisione magica (lo stupore) e lasciare che le cose si manifestino senza interferenza da parte del poeta che ne sente l’ardore e se ne lascia impregnare: questi sono i princìpi estetici della tradizione poetica che discende per così dire dall’incanto magico e quindi dal potere della parola. Dal potere della Natura.

È noto che quando un bardo voleva punire un re per non aver rispettato i patti - per esempio non compensando a dovere i suoi servigi - poteva ricorrere ad un terribile rito incantatorio: dopo aver digiunato sulla terra del re, accompagnato da altri sei bardi, al sorgere del sole si sistemava insieme agli altri sotto un biancospino con un suo ramoscello e una pietra da fionda tra le mani. Insieme i 7 bardi intonavano un incantesimo sulla spina e sulla pietra. Se erano in torto la collina li inghiottiva. Ma se il loro potere magico era più forte, la terra ingoiava il re, la regina, i loro figli e i cavalli, i cani da caccia, le armi e le vesti. [3]

Se tutti noi oggi, dopo aver letto la sua Poesia, non concedessimo il giusto tributo a Kathleen Jamie, comportandoci da insolventi o indifferenti alla sua opera, potremmo rischiare di precipitare dalla casa sull’albero e sprofondare nel baratro che si aprirebbe inevitabile sotto i nostri piedi al canto di un incantesimo della makar [4] scozzese.

Prima del vento (pg.77)

Dovessi capitare su quel colle
dove crescono le ciliege selvatiche
sarà meglio sia presto, o verranno
ad attaccar briga gli uccelli dagli occhi gialli,

rivendicando i frutti per se.
Selvatiche significa noccioli a malapena
rivestiti di polpa, ma è buffo
detto da me. Una bocca

contiene una ciliegia, una ciliegia
un nocciolo, un nocciolo
il ramo in fiore
che devo trovare prima che il vento

sparpagli ogni traccia di fioritura,
e venga il frutto, e gli uccelli dagli occhi gialli.


[1] – K. Jamie, La casa sull’albero a cura di G. Sensi, Giuliano Landolfi Editore (2016)
[2] – R. Daumal, Poesia nera e poesia bianca, Castelvecchi (2014)
[3] – J. Brosse, Storie e leggende degli alberi, Edizione Studio tesi (1989)
[4] - Termine che indica poeti o bardi che spesso lavoravano alla corte dei re scozzesi.

lunedì 24 ottobre 2016

La Poesia ai tempi di Twitter

Nel romanzo di G. G. Marquez, L’amore ai tempi del colera, il protagonista ASPETTA per mezzo secolo l'unica donna che ha amato. Florentino è un impiegato telegrafista, un uomo malinconico e tranquillo appassionato di Poesia. È innamorato di Fermina, ma il padre di lei non approva l’unione e predispone il matrimonio della giovane con il ricco medico della città.
Il matrimonio di Fermina, nato senza amore, diventerà con il tempo e le avversità un rapporto solido e felice.
Florentino si butterà a capofitto nel lavoro per poter essere degno dell’amore di Fermina e inizierà una brillante carriera all’interno dell’azienda dello zio, la Compagnia Fluviale dei Caraibi.
Nonostante la folla di amanti che accumulerà negli anni, Florentino si sentirà legato solo a Fermina. E aspetterà decenni per vedere realizzato il suo amore: alla morte del medico, Florentino dichiarerà ancora una volta il suo amore a Fermina e lei, dopo tanti anni di indifferenza, accetterà le sue attenzioni.
Insieme faranno un viaggio in uno dei battelli della Compagnia Fluviale e, per la prima volta dopo 50 anni d’amore, faranno l’amore.

Poiché ho sempre creduto che la Poesia sia una incontro che viene fatto a tempo e luogo debito , ho sempre ravvisato, da lettore di questo romanzo, un significato riposto diverso da quello letterale: a Florentino ho voluto associare la figura del Poeta, a Fermina quella della Poesia e al ricco medico quella del mondo caotico che li circonda.
Ora immaginare che il Poeta ASPETTI per tanto tempo l’unica donna che ha amato, la Poesia, mi permette di introdurre l’argomento di questo Post.

Le forme brevi di poesia ci sono sempre state e probabilmente, oggi più che mai, riprenderanno vita e vigore (come già ho avuto modo di dire nel Post dedicato a Valentino Zeichen). Quello che però oggi, ai tempi di twitter, viene a mancare è questa dimensione insostituibile e indispensabile dell’attesa: il Poeta è colui che resta in attesa di incontrare la sua Visione. Non solo. Incontrandosi Poeta e Visione, nel luogo e nel tempo debito, si riconoscono e si amano; non è assolutamente detto che altri, nello stesso tempo e luogo, possano ugualmente riconoscerli nel loro amore o che potranno dettare tempi e luoghi diversi per il loro amore. Questo è tanto più vero quanto più gli altri dimenticano, un po' alla volta, cosa sia l’ATTESA per la Parola giusta. Per il giusto verso.

Già ma quale è, quali sono le parole giuste della Poesia? Quale è il giusto verso della Poesia, se esiste, ai tempi di twitter? Sicuramente non sono parole distratte e veloci che sfrecciano via, che si scrivono, si copiano-incollano e vengono rapidamente tagliate e sostituite da altre senza il tempo necessario per riempirle. Già perché le parole, in Poesia, non sono suoni che si scrivono ma silenzi che si riempiono.

Detto in un altro modo, la Poesia non vomita parole perche la Poesia non mangia -oltre al fatto risaputo che non dà da mangiare- le parole; lei, cioè non fa uso di parole. La Poesia si ciba di silenzio.

Quando dico silenzio, voglio dire qualcosa di più che tacere, smettere di parlare. Così come quando un poeta dice giorno per intendere non solo che il sole è sorto ma anche l’assenza della notte. Per silenzio quindi intendo quell’attesa necessaria per imparare nuovamente a parlare con l’unico scopo di nominare, senza nessun altro fine; senza alcuna strumentalizzazione. Si pensi ai linguaggi di oggi usati in pubblicità, nella scienza, nell’economia, nella psicoanalisi, nel giornalismo e anche in tanta poesia: non sono forse vere e proprie invenzioni per un fine diverso da quello di nominare le cose con il loro nome?

Sono linguaggi che usano le parole, che creano le parole, per fini di potere, linguaggi alla periferia di quello naturale; parole come fragole fuori stagione, che non sanno di niente non perché senza sapore ma perché non “accadono” nel tempo debito.

E oggi il destino di twitter o il suo torto è questo: parlare o troppo tardi o troppo presto; parlare cioè senza lasciare un margine per attendere un prima o un dopo; quando sarebbe proprio necessario riflettere del ritardo o sull’anticipo.

E così, ai tempi di twitter, può accadere che una notizia venga data prima che sia accaduta o troppo tardi: Bob Dylan ha vinto ovvero non ha vinto il premio Nobel per la Letteratura.

Un altro Florentino che più di 50 anni fa incontrò per la prima volta la sua Fermina.
Anche dell’Accademia Svedese il fato o il torto è solo e sempre questo, uguale a quello di twitter. E così una notizia attesa arriva o troppo tardi o troppo presto.

Nel febbraio del 1964, Dylan disse ai propri compagni: Rimbaud aveva capito tutto. Il poeta fa veramente di sé stesso un visionario per mezzo di un lungo, prodigioso e razionale sconvolgimento dei propri sensi...Cerco di raggiungere l'ignoto, e anche se, impazzito, finisco per smarrire il senso delle mie visioni perlomeno, le ho avute. Ecco il genere di roba che significa veramente qualcosa, ed ecco ciò che ho intenzione di scrivere, d'ora in poi.

E oggi mentre Dylan continua a masticare silenzio possiamo quindi leggere questo:

Campane di libertà

Lontano tra la fine del tramonto e lo scampanìo spezzato di mezzanotte
ci riparammo in un androne mentre il tuono esplodeva con fragore
e mentre maestose campane di lampi colpivano ombre negli abissi
come se fossero lampeggianti campane di libertà
lampeggianti per i guerrieri la cui forza è non combattere
lampeggianti per i rifugiati sull' inerme via di fuga
E per ognuno e per tutti i poveri soldati nella notte
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà

Attraverso la fornace disciolta della città inaspettatamente guardammo
con visi nascosti mentre i muri si restringevano
mentre l'eco delle campane nuziali prima della pioggia sferzante
si dissolveva nello scampanare dei fulmini
che suonavano per il ribelle che suonavano per il miserabile
che suonavano per lo sfortunato l'abbandonato e il rifiutato
che suonavano per l'escluso messo costantemente al rogo
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà

Attraverso il folle mistico martellare della selvaggia incessante grandine
il cielo esplodeva i suoi poemi in nuda meraviglia
che il tintinnare delle campane della chiesa soffiava lontano nella brezza
lasciando solo le campane di fulmini ed il loro tuono
che colpiva per il gentile, che colpiva per il mite
che colpiva per i guardiani ed i protettori della mente
ed il poeta ed il pittore lontano oltre questo giusto tempo
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà

Nella deserta cattedrale della sera la pioggia svelava lunghe storie
per le nude forme senza volto nè posizione
e suonava per le lingue con nessun posto in cui portare i propri pensieri
tutte costrette in situazioni scontate
suonava per il sordo ed il cieco e suonava per il muto
per la bistrattata madre senza marito la prostituta ingiuriata
per il delinquente da poco incatenato ed imbrogliato ed inseguito
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà

Sebbene la bianca cortina di una nuvola mandasse bagliori in un angolo lontano
e l'ipnotica nebbia acquiginosa si stava lentamente alzando
lampi elettrici ancora colpivano come dardi lanciati
non per quelli condannati a vagare oppure per quelli impossibilitati a vagare
e suonavano per quelli che cercano sui loro sentieri di ricerca senza parole
per gli amanti con la solitudine nei cuori con una storia troppo personale
e per ogni gentile anima innocua messa ingiustamente dentro una prigione
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà

Con gli occhi splendenti di sorriso ricordo quando fummo presi
in trappola dal non scorrere delle ore perchè stavano sospese
mentre ascoltavamo un'ultima volta e guardavamo con un ultimo sguardo
incantati e sommersi finchè cessò lo scampanìo
che suonava per i malati le cui ferite non possono essere lenite
per le schiere dei confusi, accusati, maltrattati quelli disillusi o peggio
e per ogni uomo imprigionato nell'intero universo
e vedemmo al di sopra le lampeggianti campane di libertà



Forse siamo arrivati troppo tardi o troppo presto: Florentino-Dylan e Fermina-Poesia si sono già incontrati e sul battello della Compagnia Fluviale hanno fatto per la prima volta l’amore dopo essersi rincorsi e attesi per 50 anni.

La poesia ai tempi di twitter è già accaduta.