martedì 23 febbraio 2021

All'età di 101 è scomparso alla nostra vista Lawrence Ferlinghetti. Ripropongo qui di seguito il Post delle Fragole dell'anno scorso che celebrava i suoi 100 anni. _____________________________________________________________________________ Ṛta (devanāgarī ऋत) è un termine sanscrito che compare negli antichi testi indiani dei Veda (ca. 2000 a.C.). Con Ṛta si intende l' "ordine cosmico" a cui soggiace l'intera realtà, ma anche una consuetudine sacra ovvero l'associazione tra il rito sacrificale e il ritmo dell'universo a cui esso è strettamente associato. Esso prelude, quindi, al termine più diffuso, e successivo, di Dharma (Legge cosmica).
Il termine Ṛta deriva da (radice sanscrita di "muoversi") e *ar (radice indoeuropea di "modo appropriato"), quindi "muoversi, comportarsi, in modo corretto". Così Ṛta acquisisce il pieno significato di "ordine cosmico" ovvero della Realtà che procede priva di contrapposizioni od ostacoli.
Questo termine è legato, sempre per mezzo della radice indoeuropea di *ar, al termine greco harmos (da cui l'italiano "armonia") e al latino ars da cui "arte".
Non possiamo quindi evitare un collegamento diretto tra questo termine e l’arte in generale vista come attività che “si fa (si muove) in modo appropriato” come un vero e proprio rito con un suo ritmo: parole che non possono non essere accostate per nascita etimologica proprio a Rta. Parole che non possono non ricordarci quello che, ad esempio, la poesia dovrebbe appropriatamente fare, vale a dire ex-movere e cum-movere.
Ṛta è particolarmente considerato nei riti e nelle pratiche artistiche, ovvero nella corretta esecuzione del farsi (rito) che permette la permanenza stessa di un equilibrio cosmico (ritmo).

Tutta questa premessa per introdurre la fondamentale Lettera ai Pisoni di Orazio e parlare dell’armonia o, che è lo stesso, dell’Arte Poetica.

Ma si può partire anche dalla fine, cioè da oggi (ca. 2000 d.C.) e compiere un viaggio speculare a quello che va dalla parola ars alla Lettera ai Pisoni.
È un viaggio a ritroso che parte dal poeta centenario Lawrence Ferlinghetti e arriva alla stessa Epistola del poeta lucano di Venosa.
Come avrebbe detto il premio Nobel della letteratura Tomas Tranströmer ( grandissimo ammiratore del poeta Orazio): non solo noi guardiamo i ricordi ma anche loro ci guardano.

Il poeta-editore- impresario della controcultura americana Lawrence Ferlinghetti nel 2019 compirà 100 anni. Questo little boy che ha visto lo sbarco sulla Luna quando era appena cinquantenne intende chiudere la sua opera con un autobiografia che l’editore Doubleday ha deciso di pubblicare negli Stati Uniti poco prima del giorno 24 Marzo in cui il protagonista della Beat Generation arriverà appunto al suo secolo di vita.
Il poeta chiude così la sua autobiografia:

«Little boy, cresciuto da dissidente romantico, ha mantenuto la sua visione giovanile di una vita destinata a durare per sempre, immortale come lo è ogni giovane, convinto che la sua identità speciale non perirà mai , sì, credendo tutto ciò a dispetto del destino sfrenato dell’intera umanità che, secondo gli scienziati, ben presto scomparirà, con la Sesta Estinzione della vita sulla Terra. Ecco perché il canto degli uccelli, ora, non è un cinguettio di estasi ma un grido di disperazione».

Potrebbe sembrare una dichiarazione apocalittica ma non lo è perché nonostante l’estinzione annunciata (dal canto degli scienziati); nonostante il canto di disperazione degli uccelli ( o di chi dimentica di essere un little boy ), il Poeta da sempre ha la consapevolezza che non omnis moriar (Orazio, Odi, III, 30, 6), cioè di non morire del tutto e quindi che non tutto morirà.
Nel suo volumetto di 116 pagine dal titolo Cos’è la poesia, Ferlinghetti assegna un compito all’arte poetica e fa del poeta un protagonista dei tempi. Solo un forte richiamo ai valori umani interiori e una poesia che li esprima attraverso una trasmissione orale possono riportare l’umanità ad una condizione di armonia e farle recuperare l’equilibrio perduto.
Il suo amico Jack Kerouac avrebbe parlato, di ordine cosmico, di Dharma.
Cos’è la poesia si compone di due parti: nella prima il poeta si sofferma sui temi e i modi della produzione poetica. Nella seconda parte, dal titolo evocativo Sfide per giovani poeti , Ferlinghetti mostra ai giovani attratti dalla poesia, le vie del fare poetico: il modo corretto di muoversi.
Il rito e il ritmo. Parole che, ripeto, guardano alla radice sanscrita Ṛta ( "ordine cosmico") e dunque alla Ars poetica di Orazio e che dalla stessa radice sono guardate.
A sfogliare le pagine di Cos’è la poesia del poeta beat sono tantissimi i rimandi e i richiami al poeta Orazio a quella comune fiducia nell’altezza e validità dell’arte e alla convinzione di un messaggio che possa valicare i confini dello spazio e del tempo. Ferlinghetti non fa che ribadire con stringatezza quasi aforistica le idee formulate nell’Ars poetica di Orazio e che l’arte è la forza di queste idee, religione dell’anima e che dunque il poeta è un semplice banditore impegnato a divulgarle, sensibilizzare ed educare ad esse.

E le idee sono quelle che richiedono un rito per un ritmo con lo scopo di preservare un ordine o ripristinarlo: il requisito di semplicità e unitarietà (simplex et unum) dell’opera ; un perspicace accostamento (callida iunctura) di termini da cui possano scaturire nuovi significati; il criterio determinante dell’usus, della lingua viva, parlata e scritta, nel decretare la nascita, morte e resurrezione di voci antiche e moderne; la messa al bando di paroloni lunghi “un piede e mezzo” (sesquipedalia verba) che rendono stucchevole il frasario tragico; evitare la «montagna» di un altisonante esordio che partorisce il «topolino»; attingere ai vantaggi (commoda) che gli anni nel sopraggiungere portano con sé e che sottraggono scappando via; indugiare nel labor limae di una paziente e infinita revisione formale; lasciarsi sedurre dalle coppie complementari ars/ingenium e natura/ars per stabilire «un’ amichevole congiura»; ricercare l’equilibrio tra dulce e utile.

Ma le idee sono anche quelle che richiedono un ritmo per un rito, per poter cantare un’armonia nascosta che avvertiamo soprattutto in quei momenti nei quali il canto degli uccelli non sembra più essere un canto d’estasi o quando perdiamo la nostra visione giovanile di una vita destinata a durare per sempre, immortale come lo è un giovane, anche di 100 anni, convinto che la sua identità speciale non morirà mai.
Come lo siamo convinti noi.

Da Greatest Poems (Mondadori, Lo Specchio, 2018)

Pound a Spoleto
[…]
In sala di colpo si era fatto silenzio. Quella voce mi ha sconvolto, così pacata, così sottile, così flebile, eppure così tenace. Ho posato la testa sopra le braccia sulla balaustra di velluto. Mi sono sorpreso nel vedere una lacrima, una sola, cadermi su un ginocchio. La sottile, indomita voce continuava a risuonare. Uscendo alla cieca dalla porta sul retro del palco sono passato nel corridoio deserto di quel teatro dove gli altri, seduti, erano ancora girati verso di lui, poi sono sceso e sono andato fuori nella luce del sole, piangendo…

Lassù sopra la città
____________________lungo l’antico acquedotto
________________i castagni
___________________erano ancora in fiore
Muti uccelli
____________volavano nella valle
________________________________molto più giù
Il sole splendeva
___________________sui castagni
e le foglie
_____________stormivano al sole
___________e stormivano stormivano stormivano
_____________E avrebbero continuato a stormire
La sua voce
______________risuonava
_______________________risuonava
________________________________tra le foglie…

Louise Glück: la lingua dei fiori

Il Premio Nobel per la letteratura 2020, Louise Glück, nel 1996 aveva da poco pubblicato il suo The Wild Iris. In quella raccolta sembrava che l'autrice avesse solo due preoccupazioni: i fiori e suo marito. Dal marito avrebbe divorziato. Dai fiori, mai, perché una parte consistente della poesia di Louise Glück consiste appunto nel dar voce ai fiori. In occasione di una presentazione le furono rivolte le inevitabili domande su chi fossero i suoi riferimenti poetici e a quale linea della letteratura americana si sentisse maggiormente legata. Louise Glück rispose: “La prossima domanda, per favore”. E se la prossima domanda fosse: “Di cosa parlano le poesie di Louise Gluck?”, bisognerebbe rispondere allo stesso modo "la prossima domanda per favore", finendo per incappare in uno di quei giochi circolari nei quali si esce quando si smette di giocare. Si smette, cioè di fare questo tipo di domande. Nell'imperscrutabile vocabolario della filosofia queste domande verrebbero definite epistemologiche in quanto riguardano la conoscenza del mondo (scientifico, letterario, poetico...), ma il poeta non è interessato a come possiamo conoscere il mondo ma come e perché possa esserci un mondo da conoscere! Basterà un esempio per capire tutto questo e così chi avrà veramente qualcosa da chiedere potrà fare un passo avanti e…tacere. Da The Triumph of Achilles, Filadelfo del 1985: No, fammelo dire, non è la luna./ Son questi fiori/ che illuminano il giardino.// Li odio./ Li odio come odio il sesso,/ la bocca dell’uomo/ che salda la mia bocca, il corpo suo/ che paralizza il mio –// e il grido che sfugge sempre,/ premessa infima,/ umiliante dell’unione –// Stanotte, tra me e me/ ascolto la domanda e inseguo la risposta/ fusa in un suono/ che sale e sale e poi/ si divide nei vecchi sé,/ antagonismi stanchi. Vedi?/ Ci hanno preso in giro./ E il profumo del filadelfo/ fluttua alla finestra.// Come posso riposare?/ Come posso esser contenta/ se nel mondo/ c’è ancora quell’odore?/ “Quali cose hanno dettato parole a Louise Glück ?” Ecco: questa sarebbe una bella domanda da fare a chi la notte tra se e se ascolta e... insegue la risposta che sale e... si moltiplica in ognuno di noi. La luna quando parla è bugiarda, ci prende in giro: scrive una C in cielo quando Decresce e una D quando Cresce. Il filadelfo, no. Sono i fiori a dettare la Poesia a Louise e Louise sta attenta come una bambina che ascolta la maestra: si mette da parte e scrive il Dettato. Ora, come si sa, i fiori hanno un loro linguaggio e la classe quindi va educata ed istruita affinché lo si possa imparare. Come dice Bacigalupo, primo traduttore italiano della Glück, “la poesia di Louise Glück è molto originale, semplice, diretta, senza nessun abbellimento. È facilmente leggibile ma anche un po' sfuggente. Parla del mondo mitico, della natura e della famiglia ma con un certo distacco, è algida. Non c'è nulla di viscerale che di solito garantisce un certo successo…". Già, è proprio come un dettato. L'iris selvatico, una delle poche traduzioni della Glück nel nostro paese, è una raccolta tutta giocata sui fiori che parlano al giardiniere. La poesia di Louise Glück è di fatto la traduzione della natura (esterna e interna): cosa sussurra, dice, grida il mondo naturale? Come lo dice e perché lo dice? Nel rispondere a queste domande la Glück risponde a quelle domande. Nel raccogliere e tradurre queste "parole", il suo dettato personale si trasforma in una risposta collettiva. Questo significa pensare alla vita, al mondo naturale, ai fiori, al filadelfo in un modo molto diverso da quello immaginato dalla scienza e da chi pone le domande per conoscere. Così come non esiste un determinato ingrediente segreto(p. es. il bosone di Higgs, il DNA,un enzima...) nascosto nelle cose e a partire dal quale tutto viene messo in moto sul palcoscenico planetario; allo stesso modo non esiste un solo poeta, una predefinita Scuola letteraria che mettano in moto la Poesia. Si tratta piuttosto di pensare alla vita come a una potenziale circolazione di materia-energia che scorre nel mondo trasformando le forme in essere, mantenendole al proprio posto ( nel giardino) per l'arco di tempo assegnato dalla "stagione". Non significa quindi che i fiori o, perché no?, le pietre sono in vita, ma che sono nella vita, e dunque come tutto cià che vive, parlano e rispondono alle domande.