giovedì 15 dicembre 2016

Il Poeta come l’Angelo Nuovo nella tempesta

Gregory Corso parlando degli anni di carcere , scrisse [1]: “A volte l’inferno è un buon posto – se serve a dimostrare che esistendo quello, deve esistere anche il suo contrario, il paradiso. E cos’era questo paradiso? La Poesia.”
Il Paradiso. La Poesia.

Un poeta come Gregory corso sapeva bene che nessuno può dire propriamente il proprio pensiero e questa è, in generale, la ragione per cui ciascun poeta dà molto spazio all’immaginazione in modo che chi legge possa partecipare alla poiein (al fare, al creare) e quindi lasciarsi travolgere nella spirale della Poesia.

La Poesia infatti non emerge dai dati di fatto, dall’inchiostro usato per scrivere, dalle parole così ben allineate e scandite nel loro ritmo, dal fruscio del libro e dallo scorrere degli occhi sulla pagina. La Poesia è l’unica cosa che non può emergere perché non ha nulla in comune con la genesi ma sta nel fiume del divenire come un vortice e trascina nel ritmo suo proprio il materiale genetico della nascita.

Se infatti supponiamo che qualcosa cominci assolutamente ad esistere, dobbiamo stabilire un istante in cui “prima” non esisteva e questo istante può essere riferito solo a ciò che esiste già, cioè a qualcosa che è già “dopo” quel prima. Detto in altri termini l’inizio di qualunque cosa nel nostro mondo non può stare in absolutus cioè sciolto da ogni altra cosa: per potersi porre come inizio, esso esige una condizione. Quello che la scienza (e lo scienziato) fa è solo far coincidere l’inizio con la condizione: tempo e velocità iniziali, temperatura e pressione, una distribuzione di probabilità. La Poesia (e quindi il poeta) questo no lo fa, non prende cioè a testimonianza della sua verità il mondo stesso e i suoi fatti ma, per così dire, si adegua ad essi come farebbe l’Angelus Novus di Walter Benjamin [2],

“...quell’angelo che sembra in procinto di staccarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo...”. Ha la bocca aperta: canta dunque. Ha gli occhi spalancati: vede quindi. “...Le sue ali possono distendersi per volare in alto. Ha il viso rivolto al passato...”, a qualunque passato, quello dell’ universo, del cielo, della terra, dell’uomo. Della parola e anche al “prima” di tutto questo. “...Dove noi vediamo una catena di eventi”, lui vede una sola apocalisse che accumula frammenti su frammenti come ci dice bene Zbiniegw Herbert [3]:

Breviario

Signore,
Ti rendo grazie per tutta questa cianfrusaglia del-
la vita, in cui annego senza scampo dai tempi im-
memorabili, mortalmente assorto nella continua
ricerca di minuzie.

Sii lodato per avermi dato bottoni discreti, spilli,
bretelle, occhiali, rivoli di inchiostro,fogli di carta
sempre pronti, custodie trasparenti, cartelle pa-
zienti in attesa.

Signore, Ti rendo grazie per le siringhe con l’ago
spesso o fine come un capello, per le bende, per
ogni tipo di cerotto, per l’umile impacco, grazie
per la flebo, i sali minerali, le cannule, e soprattut-
to per le pasticche di sonnifero dai melodiosi no-
mi di ninfe romane,

che sono buone perché chiamano, ricordano, sos-
tituiscono la morte.


Il poeta-angelo “...si affretta allora a chiudere le ali per non essere soffiato via dalla tempesta che spira dal Paradiso per ricomporre l’infranto e arrivare salvo nel futuro a cui lui volta le spalle.”
E nel futuro, inutile dirlo, c’è quella cosa lì. La morte ma anche il Paradiso.

Mi permetto un'autocitazione[4] (è la prima volta che lo faccio su questo blog):



Il poeta

le lenzuola sono
volate via
oltre il filo che
le reggeva
nel blu turchese
all’arcobaleno
appese

non è mai veramente
quieta
la quiete dopo
la tempesta
l’aria è ancora
carica
e la corrente
veloce scorre
dai rami
elettrica
ai fili d’erba

fuori c’è chi corre
ad afferrare
ciò che resta
bianco
prima che tocchi
terra


Ma cosa è veramente questo vento se non lo sregolamento di tutti i sensi di cui parla Rimbaud nella sua lettera del veggente?[5]

E non è forse questo lo stesso vento che spira e s’impiglia tra le ali dell’Angelo di Benjamin?[2]

“...Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”

Sì, forse questa tempesta che spira dal paradiso è la stessa tempesta che sconvolge l’Angelo di Benjamin e quindi, chiedendo scusa per l’eresìa, il Progresso non può che essere Poesia.

Riferimenti

[1] – Dalla Introduzione di G. Menarini su Gregory Corso-Poesie, Bompiani (1978)
[2] – W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi (1995)
[3] – Z. Herbert, L’epilogo della tempesta, Adelphi (2016)
[4] – G. Ferrara, inedito
[5] – A. Rimbaud, La Lettera del Veggente a Paul Demeny a Douai (Charleville, 15 maggio 1871)