mercoledì 5 gennaio 2022

La verità , vi prego, sullo schwa

Ho riletto tutte le poesie d’amore che conservo nel mio TaCQuino: sono versi e parole che fino ad oggi hanno taciuto e sarà meglio, considerato il momento, che…tacciano, inedite, nel taccuino, ancora per un po’. Già; il momento attuale. Proprio quello che stiamo vivendo, così connotato dalla cancel culture che, senza rendercene conto, potrebbe… cancellare, in un sol colpo, la Poesia d’Amore, buttando giù, una dopo l’altra, come monumenti dai piedistalli, tutte le poesie scritte senza * (asterisco) o senza Ə (schwa). Senza altri segni, ritenuti oggi, evidentemente, muti d’amore. Per via del fatto di risultare troppo ambigua e non rispondente alle attuali politiche di Diversità, Equità & Inclusione, si rischia di mettere nel mirino della furia iconoclasta non solo quel tipo di Poesia come idea astratta di “corrispondenza vitale”, ma anche una poesia “concreta” e famosissima come questa che è stata (era stata!) eletta fra le più belle poesie d’amore di tutti i tempi. La riporto in una versione, direi, cinematografica, senza il rispetto della partitura poetica. Me ne scuso ma d’altra parte il successo del film in questione, Quattro matrimoni e un funerale, è in parte dovuto alla “resa interpretativa” di questa poesia di Wystan Hugh Auden: “Fermate tutti gli orologi, tagliate i fili del telefono e regalate un osso al cane affinché non abbai; faccia silenzio il pianoforte, tacciano i risonanti tamburi, che avanzi la bara, che vengano gli amici dolenti. Lasciate che gli aerei volteggino nel cielo e scrivano l’odioso messaggio: lui è morto. Guarnite di crespo il collo bianco dei piccioni e fate che il vigile urbano indossi lunghi guanti neri. Lui era il mio nord e il mio sud, era l’oriente e l’occidente, i miei giorni di lavoro e i miei giorni di festa, era il mezzodì, la mezzanotte, la mia musica, le mie parole; credevo che l’amore potesse durare per sempre ma era un’illusione. Offuscate tutte le stelle perché non le vuole più nessuno; buttate via la luna, tirate giù il sole; svuotate gli oceani e abbattete gli alberi, perché da questo momento niente servirà più a niente”. Nel film questa è l’orazione funebre che Matthew tiene per il suo amore Gareth, l’altro amico di questa combriccola simil Friends. La coppia, segreta, si rivela (agli amici e a noi spettatori) proprio quando si spezza. In qualche breve momento del film, comunque, si intuisce che fra Gareth e Matthew c’è qualcosa che va ben oltre la semplice amicizia. Ma non è così facile: aggiustare una cravatta, sussurrare all’orecchio, mettere una mano sulla spalla sono gesti che non sono esclusivi di una coppia di amanti e che, stranamente, ad alcuni individui della specie umana sono pubblicamente proibiti. Sono comunque davvero piccoli gesti che Auden con la sua maestria sapeva rendere così bene nei versi, facendoli divenire tutt’uno con essi. Non ci sono dubbi questa è proprio una poesia d’amore che alla luce di quanto detto all’inizio andrebbe riscritta in modo politically correct, sostituendo solo poche lettere con qualche segno impronunciabile (quanto è attinente l’impronunciabilità al silenzio poetico!). È fuor di dubbio che ognuno di noi (+-maschio+-LGBT+-femmina+-) vorrebbe sentire, provare, esprimere, in una propria relazione, un amore come quello che questa poesia riesce a evocare. Ma la…furia iconoclasta mal si addice all’amore e anzi rischia proprio di cancellarlo definitivamente incurante del fatto che noi, sull’amore, non sappiamo la verità.
Proprio così. La “poesia del funerale” di Quattro matrimoni e un funerale si intitola Funeral blues ma è diventata famosa, grazie al suo primo verso, con il titolo Stop all the clocks. Questa poesia è stata pubblicata per la prima volta all’interno di una pièce teatrale, The ascent of F6, che Auden scrisse a quattro mani con Christopher Isherwood. L’opera racconta di un giovane scalatore il cui slancio ideale e romantico viene infranto da mere e basse questioni politiche nascoste dietro la sua impresa. Il protagonista viene sostenuto nella sua impresa ai confini di una colonia dell’impero Britannico per conquistare una delle vette più alte di un paese di fantasia che richiama l’Himalaya. Si tratta dunque di una pièce satirica di stampo brechtiano contro le false sirene del sovranismo e dell’individualismo. Quando si scopre che il vero motivo dell’impresa non era quello avventuroso di esplorare e conoscere nuovi mondi, ma solo di soddisfare un desiderio di potere, il fratello del protagonista viene stroncato da un infarto ed è per questa morte che Auden appronta nell’opera un lamento funebre corale. Le prime due strofe sono quelle che cominciano con fermate tutti gli orologi, poi ne seguono altre tre, decisamente più grottesche. Come si vede quindi l’amore, in verità, è quello fraterno e la poesia, in effetti, è un vera e propria parodia di un coro greco. La pièce fu messa in scena nel 1937 con musiche di Britten; solo la prima parte del coro divenne poi Funeral blues, testo che comparve, slegato da quello teatrale, in Another time , la raccolta audeniana del 1940, nella sezione Four cabaret songs for Heidli Anderson. E però, questa poesia, nella sua versione originale in lingua inglese, racconta molto della nostra smania da cancellazione che si esprime sempre, nel farsi e rifarsi della storia, in un suo apparente identico ricorso: attraverso la violazione proprio di ciò -per esempio Diversità, Equità & Inclusione - che si intenderebbe difendere e che motiverebbe le nostre migliori azioni. Torniamo per un attimo alla poesia di Auden. Le prime due strofe sono quelle in cui vengono ridicolizzati il pensiero unico e il messaggio propagandistico da “comunicato ufficiale”. E d'altra parte è vero che chi è innamorato spesso si rende ridicolo, e che il lutto sinceramente provato esige il silenzio. Non è stato difficile quindi, per Auden, trasformare un testo satirico in uno che esprimesse l'irrazionalità umana: se il "lui" teatrale era l'eroe del “racconto istituzionale”, ecco che in Funeral blues si trasforma nel centro più autentico dell'idolatria amorosa. Quel "mio" ripetuto tante volte in pochi versi, diventa un vero e proprio delirio di possesso dell’altro/altra/altr*/altrƏ. Ma l'operazione riesce così bene a Auden perché la sua maestria tecnica fa leva su qualcosa di connaturato all’individuo della specie umana: il delirio di onnipotenza. Tale delirio può trasformarsi, usando l’ efficace espressione di Walter Siti, in un “accanimento distruttivo… una Creazione all'incontrario di un piccolo dio che smantella il mondo con la furia di un proprietario che sbaracca casa…” o con la furia di una folla che butta giù le statue, che deturpa le parole e che addirittura pensa di cancellare le poesie d’amore…politically incorrect. Nessuno ci faceva caso a queste poesie. Nessuno le degnava di uno sguardo, decisamente, attento. Nessuno leggeva i pronomi, le desinenze, né conosceva i volti degli amanti, il loro sesso, le loro storie: le poesie sono come le pubblicità, pause da inserire in un film, in un racconto, in una canzone, su un cartellone, sui muri per strada, nei cioccolatini. Altre, per pudore, vengono …lasciate mute e inosservate, in un... taccuino o, incomprese, sulla pagina di un libro. Memorabile resta l’aforisma di Robert Musil: “i monumenti sono così palesemente irrilevanti. Nulla in questo mondo è più invisibile di un monumento”. Ecco le poesie, soprattutto quelle d’amore, sono così come i monumenti. Silenziose e irrilevanti. Finché un giorno – ed è questo il giorno – attirano, per altri motivi, l’attenzione. Magari perché qualcuno vuole rivederne le parole e in alcuni casi amputarle, buttarle giù per sostituirle con altre Diverse, Eque e Inclusive, insomma: più correct. E potrebbe succedere che guardandole meglio, ascoltandole forse davvero per la prima volta ci si rende conto che quel “lui” non è per forza un amante ma potrebbe essere benissimo un fratello o solo un essere umano in cerca di attenzione, e che quella “lei” non deve essere per forza la compagna della nostra vita ma una donna che sta sfuggendo da chi la considera roba propria o una bambina siriana che ride disperatamente. Addirittura potrebbe, quel “lui”, quella “lei”, essere… Sara e Hassan che aspettano di morire, ora dopo ora, al confine tra la Bielorussia e la Polonia. O ancora Jasmine o Kaled che seppure nati in un paese del mondo civile sono già considerati fantasmi. Ma se proprio si vuole davvero abbracciare la Diversità, l’Equità e l’Inclusività ecco che quel “lei”, quel “lui”, o quel “*” o “Ə” che sia, possono essere benissimo il balenottero Colin spiaggiato su una spiaggia dell’Australia, o gli alberi bruciati in Amazzonia, il ghiacciaio che si va sciogliendo in Svizzera, i paesi delle zone interne del Sud Italia che si smurano …un fiume che muore di sete, una luna che s’oscura, un cielo che rabbuia di luce… Perché questa e solo questa è la verità sull’amore. Parafrasando Auden: ogni 1 si strugge nelle ossa per il desiderio di ciò che non può ottenere: non l'amore universale ma di avere solo per sé ogni amore. Nella leggerezza individuale di una "cabaret song" si annida il “funeral blues” di una specie che continua a rivendicare Diversità, Equità & Inclusione ma… solo per o, al massimo, per ””.