L’osservazione di ciò che ci circonda –il mondo o la realtà a seconda se ci sentiamo rispettivamente osservatori o osservati (cacciatori o prede)- non è una pratica ingenua e spontanea come quella, ad esempio, dell’insetto di Uexküll [1]: noi siamo il risultato di un repertorio ben preciso di percezioni ed osservazioni possibili.
Usando un termine caro ad Uexküll, noi “siamo” il nostro Umwelt. Questo termine è stato spesso tradito da una traduzione- l’Ambiente- non corretta. In realtà oltre all’ “uso” darwiniano che l’ambiente fa della specie, esiste un uso, contrario, che la specie fa dell’ambiente: questo è propriamente Umwelt: cosa è l’ambiente per noi e come lo usiamo. Così è vero che noi impariamo quello che vediamo, ma vediamo anche quello che conosciamo.
Uexküll ritiene che gli esseri viventi non siano costituiti da un insieme di componenti (cellule, neuroni, organi,...) che si mettono, per così dire, in moto grazie ad una particolare loro combinazione , ma che si strutturino a partire da un obiettivo che determina la “combinazione” , e la messa in moto, in modo centrifugo.
Questo dunque varrebbe anche per la creatività umana e per i prodotti culturali dell’uomo tanto quelli tecnico-scientifici che quelli artistici: la creazione (l’atto, il poiein) si struttura a partire da una vera e propria “intenzione”, qualcosa che viene prima della percezione sensibile, vale a dire qualcosa di simile alla perception visionaria di William Blake [2].
In particolare l’artista- poeta o pittore- nella sua perception di ciò che lo circonda non guarda con gli occhi ma attraverso di essi, non percepisce gli oggetti come una sequenza di sintagmi visivi, in modo lineare ma con lo sguardo penetra, per così dire, l’oggetto e su di esso proietta il suo “potere magico” che è quello di trovargli una identità e di conferirgli un’essenza (come già ricordato nel precedente Post su Tranströmer).
Blake chiama, questa forma di proiezione, Vortice e parla di un meccanismo di “rotazione all’indietro” per cui l’immagine dell’oggetto percepito dall’occhio “fisico” attraversando questo vortice rimbalza su un occhio spirituale-mentale dove incontra il proprio archetipo inalterabile ed incorruttibile: così una nave può diventare il cervo della vela o l’orso della chiglia, perifrasi che indicano la sua maestosità o la sua forza. Addirittura la Stella può diventare una poiana e l’Uomo una foglia autunnale aggrappata al ramo.
E’ come se Blake avesse anticipato quello che Uexküll avrebbe detto a proposito di due processi percettivi: il primo correlato all’esperienza sensibile e che usa la registrazione di segnali percepiti dai sensi in una sequenza di azioni nel modo reale (p.es. l’intuizione della strada da percorrere per arrivare in un luogo); il secondo, più propriamente innato, per il quale l’apparenza del mondo sarebbe data in modo “quasi magico” e pertanto suscettibile di essere immaginato, creato e ricreato come per esempio l’istinto migratore o il linguaggio.
Forse lo stesso linguaggio inteso come l’atto di raccontare per “canto” o per “immagini” emerge in una società di cacciatori come esperienza di decifrazione delle tracce: il cacciatore sarebbe stato il primo ad usare il linguaggio in cui era immerso, il suo Umwelt, per raccontare intorno a un fuoco o sulle pareti di una caverna, storie: quella di seguire, istintivamente, le tracce e di prevedere una serie coerente di eventi o ancora quella di un dio che appare in cielo e che viene oscurato da un “buco nero”.
Questi racconti sono intrecci di intuizione e istinto, il risultato di percezioni fisiche e magiche : ...che io dipinga o scriva io perseguo il medesimo scopo che è quello di raccontare storie, diceva Buzzati; storie, come quella che Salinger riporta in Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione [3] e che fa proprio al caso nostro per riassumere tutto quello che abbiamo detto fin qui e che ci introdurrà nel mondo di Marco Tani.
“Il Duca Mu di Chin disse a Po Lo:-Ora tu sei avanti negli anni. C’è qualche membro della tua famiglia che io possa usare al tuo posto nella ricerca dei cavalli?-Po Lo rispose:-Ti puoi scegliere un buon cavallo osservandone la conformazione e l’aspetto. Ma il cavallo superlativo-quello che non solleva polvere e non lascia tracce- è qualcosa di evanescente e fuggevole, elusivo come l’aria impalpabile. I miei figlioli hanno talento, un discreto talento; sanno riconoscere un buon cavallo quando ne vedono uno, ma non sanno riconoscere un cavallo superlativo. Ho un amico, però, un certo Chiu-fang Kao, un venditore ambulante di foraggi, che in fatto di cavalli non è per nulla da meno di me. Ti prego, vallo a trovare.
Il Duca Mu seguì il consiglio e, in seguito, inviò Chu-fang alla ricerca di un destriero. Tre mesi più tardi egli tornò dicendo che ne aveva trovato uno. - Ora si trova a Shach’iu,- aggiunse. - Che tipo di cavallo è?-chiese il Duca. - Oh, è una cavalla di color bruno grigiastro,-fu la risposta. E invece quando si mandò qualcuno a prenderlo si scoprì che l’animale era uno stallone nero come la notte! Molto dispiaciuto il Duca mandò a chiamare Po Lo.-Quel tuo amico,-gli disse,-che avevo incaricato di ricercare un cavallo, ha combinato un bel guaio. Ma se non sa neppure distinguere il colore o il sesso di un animale! Cosa mai può sapere dei cavalli?- Po Lo emise un sospiro di soddisfazione. - Si è veramente comportato così?- gridò. - Eh, allora è diecimila volte più bravo di me. Non c’è paragone tra me e lui. Ciò che interessa a Kao è il meccanismo spirituale. Per assicurarsi l’essenziale dimentica i dettagli più comuni; tutto intento alle qualità interiori, perde di vista le esteriori. Egli vede ciò che vuole vedere e non ciò che non gli interessa. Egli guarda le cose che si devono guardare e tralascia quelle che non hanno alcuna importanza. Kao è un così bravo giudice di cavalli che ha in sé le qualità per giudicare cose ancora migliori che i cavalli.
Quando il cavallo arrivò, non vi fu più alcun dubbio, era proprio eccezionale.”
Il racconto è una parabola sulla incertezza delle scienze umane e del cosiddetto sapere , una incertezza tanto paradossale se si pensa che questo tipo di conoscenza ha il suo punto di forza proprio nell’osservazione e, da Galileo in poi, nell’ “esperienza ragionata”. Ma il racconto è anche la denuncia disperata di quanto sia sempre più difficile trovare qualcuno in grado di leggere segni invisibili.
La capacità di riconoscere un cavallo difettoso dai garretti- scrive Carlo Ginzburg [4]- un temporale in arrivo dall’improvviso mutare del vento, una intenzione ostile in un viso che si adombra, non veniva certo appresa sui trattati di mascalcia, di metereologia o di psicologia...Queste forme di sapere erano più ricche di qualsiasi codificazione scritta; non venivano apprese dai libri ma dalla viva voce, dai gesti, dalle occhiate; si fondavano su sottigliezze certo non formalizzabili spesso addirittura non traducibili verbalmente; costituivano il patrimonio unitario ...di uomini e donne...
Chi scrutava il cielo avrebbe predetto il tempo e se si sarebbe potuto salire in montagna o uscire per mare: si guardava al cielo per capire la terra e, viceversa, la terra per capire il cielo. Ma chi sono oggi i veggenti?
Il vero poeta o il vero pittore ...non è in pratica l’unico veggente che abbiamo sulla terra? Non è certo un veggente lo scienziato, né, lo nego con tutte le mie forze, lo psichiatra....[e] in un veggente qual è l’organo che sopporta le maggiori ingiurie? Gli occhi, certamente.[3]
Per comprendere o decifrare- se è proprio necessario farlo- il nucleo magmatico e sfaccettato dell’opera di Marco Tani bisogna partire da qui, dagli “occhi” l’organo che sopporta le maggiori ingiurie ma che è in grado di produrre la bellezza.
Quando si guarda attraverso gli occhi la ...complessità si dissolve e, a differenza di quello che si crede, non è il lato emergente ad essere osservato, ma quello soggiacente: l’Anima. Allo scienziato spetta intuire ad esempio che il tutto è più della somma delle parti, ed anche differente [5] e quindi tentare una comprensione, ma all’artista-veggente non resta che percepire l’ Anima e riaderire così all’istinto, alla Vita.
Nella raccolta poetica Diario a rovescio (Edizioni La Carmelina, 2014) di Marco Tani [6], si conta per 20 volte la parola “vita” e per 15 volte la parola “anima”: questo è il paesaggio che appare attraverso gli occhi del veggente e di questo paesaggio ci racconta Marco Tani in immagini e parole, sia cioè tracciando segni sulle pareti della caverna alla luce traballante del fuoco, che cantando intorno allo stesso fuoco.
Come un cacciatore Tani segue le tracce della contemporaneità, dell’attualità per prevedere una serie coerente di eventi. Il cielo natale è sotto gli occhi di tutti, i segni (le tracce) sono evidenti: è da poco passata la “preda” il cacciatore si inginocchia per valutare la freschezza delle orme, per distinguere meglio il verso di percorrenza; alza lo sguardo verso quegli alberi in lontananza dove ci si addentrata solo per nascondersi, per sfuggire alla cattura; coglie con un’occhiata un ramo spezzato da poco che oscilla ancora, avverte un profumo che il vento si affretta a disperdere, sente e vede uno zoccolo illuminato da una lama di luce: si ferma e decide di aspettare: lui è paziente, lui ricorda che c'è solo un peccato capitale: l'impazienza e che, a causa di questa, gli uomini sono stati cacciati dal paradiso...[7] ed è per lo stesso motivo che non vi fanno ritorno.
L’artista-veggente, come il cacciatore, è una anima paziente. Si accampa, magari al riparo in una caverna. Qui accende un fuoco e mette a bollire dell’acqua in una pentola con il manico; cuocerà del riso. L’acqua comincerà a bollire e a tornare, vapore, verso l’alto per ricominciare un ciclo. Il chicco di riso è simbolo di nutrimento fisico nonché spirituale (Vita) ed è allo stesso tempo simbolo del centro del nostro essere che deve essere particolarmente curato e protetto nonché a sua volta alimentato dagli influssi discendenti dal cielo (Anima).
Vita e Anima. Acqua, vapore che sale, chicco di riso, lo spirito che scende dal cielo e che penetra nel cuore aperto: i due kanji riprodotti in ogni pagina della raccolta di Tani.
Non è sempre vero che l’anima sale/che vuole imitare i gabbiani/volando più su/e piomba improvvisa sul cibo nel mare./ E’ il corpo che parte,/ed ecco che allora l’altra/rimane in disparte/quaggiù ad annotare/l’odore del baccalà fritto/che porta più in alto di quello del mare./ Per questo la vita qui/resta al di qua, protetta dai portici di Sotto Ripa,/nei vicoli dove sussulta attraccata,/mia gassa d’amante nella città.
Così racconta in Gassa d’amante (pg. 11) Tani. Per questo lo scafo dell’anima va sempre protetto e assicurato a tutto ciò che lo fa sussultare come una piccola barca nel porto, legata con un semplice nodo come una gassa d’amante generalmente sicura, ma che può essere facilmente sciolta e che soprattutto non soffoca.
La Vita e l’Anima sono legate da questo dolce nodo; anche uno sguardo può fare altrettanto e l’artista-veggente questo, istintivamente, lo sa e guarda nel modo in cui si evita di guardare le Pleiadi per vederle (pg.14):
Ti vedo meglio se guardo invece/altrove appena un pò più in là/come si guardano le Pleiadi/che ti si mostrano di più/se sposti un po' lo sguardo/e sfuggono al contrario/quando le cerchi in cielo/confuse dentro al blu./Così fai tu su questa nuda Terra,/cammini con l’anima al di fuori/perché gli sciocchi/credano/che ciò che mostri/è pelle.
e dice e scrive nel modo in cui non si dice e non si scrive per conoscere risposte (Viola d'Ingres pg. 21):
Dell’anima in corsivo/è l’ideogramma/graffito del metrò./Tutta risuona di un’effe di violino/la doppia esse della tua schiena/ombrosa./Il punto di domanda di una vita./Scrivere non risponde mai.
Prima di qualunque cosa, prima ancora della Vita c’è l’Anima: pochi riescono a riconoscerne le tracce. Alcuni, nella vana speranza di ritrovarle, si appellano alle tecniche più sofisticate, all’incessante tessitura di domande e risposte a cui la scienza di Penelope ci ha abituati ma non evidentemente istruiti e convinti. Così ci lasciamo affascinare ancora e ancora dalla cosiddetta “complessità” del creato incluso quello che noi stessi abbiamo “creato”, dal disegno che appare sul telo funebre di Laerte e che domani, disfatto nella notte, non sarà più quello.
Ma qualcosa resta imperturbabile nel disordine e qualcuno, come Marco Tani, riconosce dalle orme la preda nascosta tra gli alberi li in fondo, al riparo dagli occhi che indagano e da bocche che interrogano; distante dai calendari e dalle pagine dei diari, in fin dei conti, sempre...datate. Lui al contrario sente, avverte e, come fa l’insetto di Uexküll, si lascia cadere dal ramo per cibarsi del nutrimento che scorre tra le vene della Vita, invisibile come il sangue, l’Umwelt in cui noi tutti siamo immersi. L’Anima.
Riferimenti
[1]- Jacob von Uexküll Ambienti animali e ambienti umani Quodlibet (2010)
[2]- William Blake Il matrimonio del Paradiso e dell’Inferno Asterios (2013)
[3]- Jerome D. Salinger Alzate l’architrave carpentieri e Seymour.Introduzione, Einaudi (2003)
[4]- Carlo Ginzburg Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Einaudi, (1986)
[5]-P.W.Anderson Science, New Series, Vol. 177, No. 4047. (Aug. 4, 1972), pp. 393-396.
[6]- Marco Tani Diario a rovescio Edizioni La Carmelina (2014)
[7]- F. Kafka