lunedì 13 settembre 2021

Le Poesie Imagiste di Hilda Doolittle

Nel gennaio del 1913 sulla rivista statunitense Poetry apparvero tre poesie firmate H.D., imagiste. Le tre composizioni erano state inviate pochi mesi prima da Ezra Pound alla direttrice della rivista, Harriet Monroe, accompagnate da un biglietto di accompagnamento che diceva più meno così: “È nel tipico discorso laconico degli Imagisti…Nessuno scopo, andare dritti al sodo, nessuno eccesso di aggettivi. Evitare metafore che si rendano impossibili a un esame. È un parlare dritto – dritto come il greco!”. Lo stesso termine Imagisme fu coniato da Pound proprio per descrivere una qualità della sua amica d’infanzia, Hilda Doolittle, H.D. che pensava e scriveva per “immagini”. Hilda divenne H.D. anche grazie a Ezra che la incluse tra gli Imagisti trasformandola quasi in una specie di griffe del movimento. Hilda Doolittle era nata il 10 settembre 1886 a Bethlehem, in Pennsylvania, unica sopravvissuta di cinque fratelli. Il padre, professore di astronomia e legatissimo alla sua unica figlia, disapprovò il fidanzamento della sedicenne Hilda con Ezra Pound che a lei dedicò numerose poesie d’amore. H.D. e Ezra Pound fecero parte di quegli scrittori americani che all’inizio del 1900 scoprirono …l’Europa e che qui trascorsero la maggior parte della loro vita pubblica e privata. Come poetessa H.D. alternò la Grecia al Giappone, potremmo dire Saffo a Hokusai: nell’imagismo sono le immagini ad essere cesellate con rigore scultoreo nel verso e, probabilmente, la famosa onda del maestro giapponese rende appieno lo spirito ( e la difficoltà) di tradurre immagini, così “nitidamente intagliate”, in parole altrettanto nette e per certi versi spietate. Hilda Doolittle, in Italia, è pressoché sconosciuta : Massimo Bacigalupo ha curato per Archinto Fine al tormento: ricordando Ezra Pound; nel 1986, per Lucini Mary de Rachewiltz collezionò un tributo dal titolo H.D. e l’editore Raffaelli ha editato alcuni libri in lingua originale. Nel 2006 l’editore Liguori pubblica Visioni e proiezioni a cura di M. Vitale e nel 2016 Iacobelli editore pubblica la traduzione de Il dono, il romanzo scritto in prima persona che la stessa autrice definì "quasi autobiografico”. Oggi dopo 60 anni dalla sua morte avvenuta a Zurigo, Interno Poesia ci consegna le Poesie Imagiste di Hilda Doolittle nella traduzione di Giorgia Sensi.
La raccolta oltre che avvalersi di una nitida traduzione della Sensi che restituisce alle parole della Doolittle le sue immagini, si arricchisce di un prezioso saggio breve della traduttrice nel quale si traduce e …si ”tradisce” un'autentica passione per questa poesia indispensabile e ridotta alla sua purezza. Nella traduzione la Sensi ha pienamente rispettato l’urgenza del sentimento che secondo la Doolittle doveva venire perfettamente rappresentata dal linguaggio dove tanto i verbi che i sostantivi venivano messi al servizio di un'essenzialità di segno che non può e non deve cedere spazio ad alcuna notazione superflua. Per fare un esempio: in una delle poesia più famose di H.D., Oread, la Sensi riesce a restituire in ogni verso la propria immagine conchiusa e nel ritmo, che viene conservato nel passaggio da un rapido crescendo a un improvviso arresto, riesce ad evocare la furia dell’onda che dopo essersi gonfiata si abbatte nel silenzio [Turbina, mare –/ turbina i tuoi pini appuntiti,/ schizza i tuoi grandi pini/ sui nostri scogli,/ gettaci addosso il tuo verde,/ coprici con le tue pozze d’abete. ] La neutralità dello sguardo della Doolittle, come richiesto dalle regole imagiste, implicava la capacità di rendere, attraverso perizia poetica, l’invisibile movimento originario della natura. È probabile che la Doolittle nel comporre Oread avesse ben presente l’immagine dell’onda pietrificata di Hokusai; immagine chiara ma allo stesso tempo paradossale per esprimere il movimento. Quel particolare gioco di pieno e di vuoto - onnipresente nelle immagini giapponesi ma anche in quelle greche - dà figura al movimento ritmico della natura, a un flusso di ascesa e ricaduta che se è inscritto in tutte le cose può in-scriversi anche nella poesia. Era questa la lezione di H.D. e che oggi, grazie a Interno Poesia e a Giorgia Sensi, ci viene restituita intatta.

mercoledì 1 settembre 2021

Quando le donne suonavano i tamburi

Questa estate il mondo, per me, si è fatto cosmo grazie a una “donna che suona il tamburo”. Mettere ordine da sempre è stata una faccenda da donne. Non equivocate. Mi spiego. Mettere ordine vuol dire misurare e misurare implica il concetto di numero ovvero di entità che possono essere sommate o sottratte e che procedono in un ordine progressivo. Quando, come esseri umani, prendemmo coscienza che i numeri potevano esprimere lo scheletro del mondo, pervenimmo a una scoperta (invenzione?) che ha avuto un effetto maggiore di qualunque altra scoperta: il mondo cessava di essere semplicemente un mondo e diventava un kosmos, un insieme misurato ed ordinato dotato di senso e significato. Le donne , da sempre, sono state le depositarie naturali di questo potere di trasformare il caos in cosmo. Quando ho cominciato a leggere le poesie di Antonietta Gnerre contenute nella sua ultima raccolta, Quello che non so di me, il tamburo, per così dire, ha cominciato a battere e il disordine attuale ha lasciato uno spazio, seppure piccolo ed estivo, a un ordine dotato di senso e significato.
Vedi, l’Irpinia somiglia all’universo./La misuro con le imposte delle case distanti,/….Ecco, l’istante comprende ciò che siamo stati,/la resa degli anni che si riorganizza/…(pg. 17). È nella Misura dei nomi, nella prima sezione di questa raccolta, che Antonietta si presenta come donna che suona il tamburo e che mette ordine. Più e più volte questa generosità gratuita e spontanea di dare senso e significato attraverso una misura di nomi e cose, emerge chiara nella poesia di Antonietta. Si presenta immediatamente, questa generosità, fin dall’inizio, da quel… cercare nel tempo della semina le tracce confuse delle volpi (pg. 19); si ripete nel mostrarsi ancora nel…bacerei tutte le foglie che ho visto cadere (pg. 24). E così via, viene ribadita nel corso di tutta la raccolta a dimostrazione di quella coerenza e compattezza segnalata da Alessandro Zaccuri nella prefazione. Misurare, dunque contare, per fare. Così anche un semplice poggiare le mani sui muri caldi dell’ultima estate…serve a misurare chi siamo (pg. 31). Vi è una consapevolezza discreta ma profonda in questo generoso… fare: sai, siamo qui per misurarci nelle cose create/per imparare a numerare le noci,//come fanno i contadini./O a portare via i dolori dalle pietre(pg. 49). E così, pagina dopo pagina, poesia dopo poesia, verso dopo verso, Antonietta conta e racconta dell’universo (o dell’Irpinia, ma a questo punto , avrete capito, non ha importanza), la posizione esatta di tutti gli alberi(pg. 51). Tocca a noi a questo punto …impastare i suoi pensieri, cioè ascoltare il …numero, il suono, il ritmo del…tamburo. Quello che di noi non sappiamo (o abbiamo dimenticato) "ha contato tutte le mani che hanno lavato le lenzuola. E le cose ferme a terra… (e son solo)… tra gli abbracci delle piante e delle stelle”. Quello che di noi ha prestato attenzione è riuscito a tenere conto di tutte quelle cose emerse da millenni e che sono giunte qui e ora tra le pagine di una “semplice” raccolta. Il raccolto. Per millenni i tamburi sacri del Mediterraneo precristiano e dell’Asia occidentale sono stati suonati da donne, da sacerdotesse che erano custodi delle tradizioni spirituali delle prime civiltà e detenevano le chiavi per sperimentare il divino grazie alla … misura e al ritmo. Queste donne sapevano molto bene che il terrore che nasce dal caos poteva essere controllato: osservare le fasi della luna è stato il più antico modo di segnare il tempo. Se il sole stabilisce il ritmo quotidiano, il crescere e il calare della luna furono lo strumento naturale per misurare cicli settimanali, mensili, vitali. Sul ritmo …femminile era basato un calendario lunare precedente di circa 15.000 anni lo sviluppo dell’agricoltura. La più antica radice indo-ariana collegata ai corpi celesti è quella che significa “luna”, la radice “me” che in sanscrito diventa “mami”: io misuro. A questa stessa radice è collegato anche il termine “metra” che vuol dire matrice , utero e per traslato, madre, origine di qualcosa. Così la corrispondenza, anzi la simmetria cioè la commensurabilità, tra mettere ordine e creare è definitivamente stabilita tanto da mostrarsi nel modo più concreto possibile nella coerenza, appunto, e compattezza della Poesia di Antonietta Gnerre, una di quelle donne sapienti, che nel mondo greco sarebbero state definite pharmakeutriai, ovvero inventrici di farmaci e di rimedi salutari . Una di quelle Madri (mātrā) che al suono di un tamburo è in grado di misurare (metron) e di creare un cosmo. Anche per un breve e minuscolo spazio estivo. Riferimenti - Antonietta Gnerre, Quello che non so di me, Interno Poesia Editore, 2021; - Layne Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Venexia, 2021; - Giorgio De Santllana, Hertha von Dechend, Sirio, Adelphi, 2020; - Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2008; - Ananda Ketish Coomaraswamy, La tenebra divina, Adelphi, 2017.