giovedì 22 giugno 2023
La lingua balena di Jean Portante
Il poeta è colui che più o meno inconsciamente si mette al servizio del senso. Un senso, innanzitutto, proprio, identitario e autobiografico: cercare e scoprire (se esistono) le ragioni del proprio parlessere , per usare una nozione di Jacq Lacan. E, poi, un senso chiamiamolo originario, istituito sul primato di una sostanza - non necessariamente materiale- come fondamento del mondo, ad esempio la terra, l’acqua, l’aria.
Crediamo che la lingua balena del “poeta nell’oceano” Jean Portante sia la perfetta sintesi di questo servizio.
«È stato a L’Avana, sull’isola di Cuba, davanti all’Oceano» - dice Portante in una sua intervista - «che ho avuto l’immagine chiara di cosa poteva essere la mia scrittura: una scrittura balena. Davanti a quella immensa distesa d’acqua ho pensato a un’animale che era nella mia memoria: una balena, appunto, che nel 1953, quando io avevo solo tre anni, era arrivata in Lussemburgo. Non so se l’ho vista, perché la memoria di tre anni non so se ce l’abbiamo ancora».
Ma l’inconscio certamente sì, a quell’età lo abbiamo, perché l’inconscio è più antico del linguaggio ed è molto più antico della memoria individuale.
Questa balena depositata nell’immaginario del poeta dice molto sul senso: dice chi siamo, perché anche lei, come noi tutti, è una migrante “cosmica”, perché si muove non solo nello spazio ma anche nel tempo, vale a dire tanto nelle sostanze materiali come acqua, terra e aria che in quelle immateriali come l’inconscio, il linguaggio, la memoria.
La balena infatti non è un pesce, in quanto prima di vivere in acqua ha vissuto molti anni, secoli, millenni sulla Terra, come un qualunque mammifero. Gli studiosi dicono che probabilmente era un’enorme cane che, a un certo momento della sua storia, ha deciso di andarsene e si è spostata nell’acqua. Dunque la balena è una dei primi migranti della storia, della vita e quando è arrivata nell’acqua ha fatto quello che ogni essere vivente fa: si è adattata mutandosi in quasi-pesce.
Ha lasciato la terra per sopravvivere e evitare la sua estinzione come quella dei grandi animali di allora che sono scomparsi. La migrazione è, in fin dei conti, solo questo: l’urgenza di andare per continuare a vivere. Ovvero l’urgenza di vivere per continuare ad andare.
In questa fase di adattamento c’è qualcosa che la balena non ha cambiato: è rimasta con un polmone, un organo che non le permette di vivere completamente in acqua. Il polmone è dunque una memoria terrestre.
«Questo pensiero» - dice Portante - «mi ha dato molto. Mi ha suggerito quale è la memoria mia, di prima. La lingua madre! E dunque ho fatto come la balena, ho preso la lingua madre che è l’italiano e l’ho messa come un polmone dentro la lingua che ho scelto per la scrittura, che è la lingua francese…Scrivere in lingua balena significa che sto con una lingua che è come se fosse il francese, come la balena vive come se fosse un pesce».
La quasi totalità della vasta produzione di Portante è quindi scritta in francese una lingua che, come lui stesso dice, ha appreso e addomesticato in quanto nella casa dei suoi genitori emigrati dall’ Abruzzo si parlava l’italiano, anzi il dialetto di San Demetrio nei Vestini vicino L’Aquila. E quando si nasce e si cresce in Lussemburgo con le sue tre lingue presenti nel territorio, vale a dire il tedesco della scuola, il francese della strada e la lingua di Carlo Magno, avere in tasca ( o nel polmone) anche l’italiano può diventare una cosa straordinaria per qualcuno. Ma per chi è al servizio del senso può anche essere una cosa terribile.
La “tragicità” di questa condizione anfibia è quindi vissuta in toto da Portante così da emergere completamente nel suo…parlessere, a dispetto di tutti gli sforzi e i desideri per realizzare una definitiva integrazione.
«In questo spazio ambiguo io ho messo tutta la mia scrittura» dice ancora Portante e, a proposito di ambiguità, oltre a quella dello spazio, potremmo aggiungere anche quella del tempo, della sostanza primordiale, dell’identità e di tutto quanto fa di noi stessi IL senso!
Perché è il fenomeno stesso della vita con la circolazione (migrazione?) e la sua ubiqua ambiguità a fare senso.
Jean Portante con la sua lingua balena si è messo al servizio di questa migrazione cosmica, perché nel suo parlessere riesce a… complementare e richiudere quello scarto anfibio tra inconscio e linguaggio, tra l’essere e le parole.
Noi, noi tutti, pare dirci Portante, siamo migranti nell’Oceano-Vita e non ci limitiamo solo a usare le nostre parole ma siamo intimamente fatti di esse.
Pertanto il primato della parola poetica (termine molto caro al nostro) rivela che essa non serve solo a nominare le cose e a servire il senso di quanto accade, ma è la condizione stessa per (dell’) esistere perché tutto ciò che è avvenuto prima non viene superato e completamente dimenticato da ciò che viene dopo, ma continua ad accadere.
E solo una “étrange langue”, una strana lingua, può ricordarlo, ridirlo e ravvivarlo.
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