-Lei sa quale è stata la prima poesia?-
-No-
-Esatto!-
Dire No è facile e per alcuni bambini è la prima parola che si pronuncia e di sicuro quella che più frequentemente si ascolta e si vede rappresentare: - Questo non si fa- e via a muovere il ditino o a scuotere la testa a destra e sinistra.
Per via di questo semplice atto linguistico l’Uomo lascia, per così dire, il mondo ed entra nella realtà.
Il silenzio di Socrate, la disubbidienza di Thoreau che genererà l’approccio non violento di Gandhi e di Martin Luther King ma anche i dieci -Preferirei di no- dello scrivano di Melville o il gusto della disobbedienza di Emily Dickinson e, per finire, le rinunce di Francesco e Chiara di Assisi. Tutti questi sono esempi di come un semplice No possa trasformare un dato mondo in qualcosa di diverso.
Sono No lontanissimi da ogni forma di nichilismo, fuga o di malattia ma rientrano nella categoria della resistenza ad una condizione di ingiustizia, di rifiuto alle convenzioni, di difesa della propria libertà.
Per emergere dal mondo e per conoscere se stesso l’Uomo deve denudarsi e liberarsi della maschera della sua…persona (persona viene dal greco e vuol dire maschera).
Il No lo aiuta in questa operazione di smascheramento. Attraverso l’uso del linguaggio, delle metafore e del ritmo ( che , come ho detto in un altro post è fine e mezzo dell’arte) il poeta trasforma il mondo nel quale noi tutti respiriamo, mangiamo, ci riproduciamo in una realtà: il mondo non è costituito solo da stati di cose che sussistono, come per esempio il sole che splende o il vento che muove i pioppi cipressini, ma anche di stati di cose che non sussistono. E’ questa la differenza tra mondo e realtà: mentre nel primo ci sono solo fatti positivi, effettivamente sussistenti e sui quali tutti possiamo essere d’accordo (il sole splende), nella seconda “ci sono” anche i fatti non effettivamente sussistenti (potrebbe annuvolarsi). Un fatto positivo apre alla possibilità logica a qualcosa che al momento non è un fatto. Questo significa anche che solo se può presentarsi il pensiero del “cielo nuvoloso” posso desiderare il sole! Se Emily Dickinson scrive quindi [1]
Così mi sfilo le calze
Sguazzando nell’acqua
Per il gusto di disobbedire
Il ragazzo che visse per “Dovere”
Andò in cielo forse da morto
E forse non ci andò
Mosè non fu trattato bene
Anania nemmeno.
in effetti ci svela il segreto del poeta e della poesia che è il gusto di disobbedire e di andare contro le convenzioni a cominciare da quello dell’uso delle parole: esse non servono solo a descrivere un “Dovere”, un attenersi a leggi naturali e regole ma anche a mostrare quello che potrebbe non sussistere (andare in cielo da morti o da vivi? Tenere le calze o sfilarle?).
Qui nel tipico procedimento della Dickens viene mescolato profano e sacro quasi a volerci indicare che la disobbedienza, la negazione ci apre la porta a qualcosa che è più del mondo”animale”, la realtà, ma anche più di questa. Nelle due citazioni bibliche la Dickens sembra volerci suggerire : -In qualsiasi modo ti comporti il risultato è sempre lo stesso, tanto vale lasciare lo spazio al gusto di dire no!-. Ma questo No non è il bieco e mancato rispetto delle regole per un proprio tornaconto ma una scelta coraggiosa e rivoluzionaria: è una disobbedienza che impone di seguire più che le convenzioni e il mondo, la propria coscienza e una realtà di valori alti e universali.
Francesco d’Assisi compose il suo Cantico in volgare in un mondo in cui era imposto il latino: la prima opera poetica della letteratura italiana è conseguenza dei No di Giovanni di Bernardone a suo padre, a una chiesa votata al potere e a una lingua. Il messaggio di straordinaria modernità di Francesco e di tutti quelli che pronunciano un No autentico sta proprio in questa ribellione pacifica. In questi No vi è racchiusa una bellezza che bisogna definire poetica e spirituale perché apre a parole, atteggiamenti e comportamenti necessari ed indispensabili per riacciuffare un’umanità alienata da se stessa, irretita da un mondo evanescente, virtuale in cui è palpabile la solitudine e il Male sembra trionfare come unico stato sussistente di cose. Come dice Brodskij [2] “…se si considera l’ampiezza e l’intensità con cui [il Male] si manifesta nel mondo…” attraverso i suoi multiformi travestimenti di ingiustizia, iniquità, sfruttamento, razzismo e violenza, “…oggi possiamo dire che esso è un fenomeno fisico più che una categoria etica…”
Qui allora è necessario levare un No assoluto per riportare alla realtà della vita l’uomo di oggi, per ridare uno strumento operativo ai nostri giovani e sentite come procede il poeta, come “agisce” la poesia per fare questo:
“…Le mie parole hanno semplicemente lo scopo di suggerirvi una forma di resistenza che un giorno può esservi utile, che può aiutarvi…”
a trasformare il mondo nel quale siamo tutti immersi in una realtà
“…e a uscire dal vostro incontro [fisico, ormai fisico] con il Male meno sudici di quelli che vi hanno preceduto. Quello a cui che sto pensando, come avrete capito, è la famosa faccenda dell’altra guancia…Immagino che vi sia familiare il concetto di resistenza passiva o non violenta, che ha come cardine il principio di rendere bene per male, di non ripagare con la stessa moneta…Ma [a ben pensare] l’offerta dell’altra guancia equivale ad una manipolazione del senso di colpa dell’aggressore: in fondo la vittoria morale in sé potrebbe non essere tanto morale primo perché la sofferenza ha un suo aspetto narcisistico e secondo perché conferisce alla vittima una superiorità sul suo nemico, cioè la rende migliore di lui. Ora per quanto malvagio sia il nostro nemico, resta il fatto fondamentale che è umano; e noi, benché incapaci di amare il prossimo nostro come noi stessi, sappiamo nondimeno che il male mette radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore di un altro…”.
Quello che Brodskij vuol dire è che a volte dire No può anche non bastare per trasformare il mondo in una realtà. Allora per essere convincenti sull’autenticità di questo No e della nostra volontà di trasformazione, direi meglio di conversione, bisogna ribattere decisamente sul No. E infatti così viene fatto nel Discorso della Montagna del quale ricordiamo solo la faccenda dell’altra guancia e dimentichiamo, come hanno fatto Tolstoj, Thoreau, Gandhi, che dopo il versetto [3]:
“…ma se uno ti percuote sulla guancia destra porgi a lui anche l’altra”
il testo, senza alcuna pausa, continua con:
“e se uno vuole chiamarti in giudizio e toglierti la tunica, cedigli anche il tuo mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va con lui per due miglia.”
Citati per esteso questi versetti hanno ben poco a che fare con un semplice no alla violenza: in questi versetti vi è implicita l’idea che il male può essere reso assurdo per eccesso, vi è implicito il suggerimento di rendere assurdo lo stato sussistente di cose sminuendone le pretese ed esponendo al ridicolo la sua intrinseca insensatezza. E’ un effetto che conosciamo molto bene perché è legato ad ogni forma di produzione di massa. E quale attività umana può produrre un numero così cospicuo di No, una produzione pressoché illimitata da ridisegnare il mondo in una realtà?
La Poesia.
Come questa del poeta francese Michel Deguy nella traduzione di Mario Benedetti [4]:
Non uccidere
Non ucciderai affatto
Né i tuoi compagni di classe, né i tuoi professori
Né i vicini non ucciderai affatto né
A Srebenica né a Tel Aviv né a Jenin
Né perché Dio ti aspetta bevendo sotto la pergola
Né per la patria né per le tue idee
Non ucciderai affatto
– “affatto” vuol dire
Non ucciderai in nessun modo
Non ucciderai il prefetto Erignac
Sotto alcun pretesto nemmeno quello della gloria dimenticata di Paoli
Né perché Dio ti ha dato una parte
All’indomani della Genesi
Né perché Maometto e il suo asino
Hanno lasciato la terrazza sotto le ali dell’angelo
Non ucciderai per l’incasso della panettiera
Né per il fischio dell’acceleratore a 3,5 grammi di alcol
Né per la spiaggia dei protettori ritiratisi ai tropici
Non ucciderai né per godere
Né per vendicarti
Né perché “tu vali”
Come cantilena L’Oréal
Con i tuoi 300 000 anni non hai più l’età per fare il furbo
Né perché gli odori del vicino attraversano il pianerottolo
O perché il dio dirimpettaio suona la tromba
Non ucciderai
Non perché fu scritto sulle tavole della legge
Ma perché sei tu stesso a dirtelo
Spesso in pieno petto
E perché ti si dice: è meglio non uccidere,
Credici
Non ucciderai nemmeno il riccio che passa lento
E neanche il piccione di Saint-Sulpice e
Tanto meno la foca pelosa o il rinoceronte erotico
Né l’elefante che occupa tutto lo spazio
Né lo zibetto gastronomico
Non ucciderai affatto perché quelli che ti urlano di uccidere
Sono più cretini di quelli che ti dicono di non farlo
Hai l’età della ragione per capirlo
L’età della disobbedienza secondo Arendt
Agirai secondo coscienza e niente di buono
Te lo ordina
Perché non ci sono subumani
E non ce ne sono mai stati
Perché non c’è più la Voce che viene dall’alto
Né un piatto della bilancia per la vita eterna
Perché i morti non gridano vendetta
E d’altronde non gridano niente perché non esistono più
Perché non ne hai bisogno per “fare il lavoro del lutto”
(questo cliché opprimente di freudiana memoria tivù)
Perché non ci si rifà una vita
Perché tu non sei un altro perché “non degnarti di vedere”
Niente tranne il vortice delle nebulose
Perché questo è il primo e l’ultimo
E il solo comandamento.
Ora sappiamo quale è stata la prima poesia?
-No-
Esatto.
Riferimenti [1] E. Dickinson su www.emilydickinson.it [2] J- Brodskij “Il Canto del Pendolo” Adelphi 2a edizione (2011) [3] Il Vangelo Secondo Matteo [4] M. Deguy Arresti frequenti, Poesie scelte 1965-2006 Luca Sossella editore (2007)
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