giovedì 21 ottobre 2021
Il Salone nell'arca
La mia amica Marcella Nigro, scrittrice e giornalista di Radionoff, mi ha inviato un breve resoconto sul Salone del Libro di Torino paragonandolo a una grande ...Arca.
"Entrare al Lingotto, durante Il Salone Internazionale del Libro a Torino è come entrare nell’arca, ma non in quella di Noè, che accolse una coppia di entrambi i sessi per ogni specie animale, bensì un’arca che “abbraccia” e “protegge” tutti noi reduci dalla pandemia da Covid-19 che abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa significhi “fare assembramento” e per questo motivo vietato, ma che non vediamo l’ora di abusare, finalmente, anche dell’ultimo dei nostri cinque sensi: appunto, il tatto.
Ma l’essere umano ha un’indole indomita, complessa, dalla memoria corta e, permettetemi, “ignorante”, si, nel senso che ignora. Ignora e finge di non ricordare le piaghe, le sofferenze, le tragedie che costellano la nostra storia millenaria, che, spesso e volentieri, sono nate proprio a causa nostra, per ultimo: lo scempio che stiamo compiendo nei confronti della natura, nonostante da decine di anni continuiamo a riempirci la bocca con parole che inneggiano a un futuro eco sostenibile.
Io che sono stata in questa grande Arca, ho realmente vissuto la gioia e la curiosità di essere “sommersa” da libri, autori ed editori, in un vero e proprio abbraccio di parole; e il libro che ancora dovrà essere scritto è qui, sotto le mie mani, stretto tra le mie dita: come sarà?
Sarà diverso, ma sempre uguale, travolgente ma rasserenante; mi trascinerà via con sé, vicino o lontano, poco importa, attraverso la fantasia che sgorga dalla mia esperienza, dalla mia quotidianità per giungere fino a te, che mi stai leggendo, avido e bramoso di saperne di più, ancora e ancora…" [Marcella Nigro].
Questo breve e puntuale reportage e la presenza di tanti giovani al Salone (Arca) hanno ispirato il seguente Post.
I libri sono oggetti finiti che non finiscono mai di scorrere. Una specie di nastro di Möbius in quanto insistono su due facce del tempo e dello spazio. Questi piccoli parallelepipedi di parole prolungano l’esistenza di un’autrice o di un autore oltre il limiti che la natura ha loro assegnato compreso un futuro che non hanno potuto misurare. Oltre a questo, aiutano il lettore-viaggiatore a misurare e misurarsi il presente… addosso.
Al Salone del libro di Torino si ha la sensazione del viaggio amplificata a dismisura nel tempo , come se il Lingotto contenesse un’enorme arca (o viceversa): gli autori sono tutti presenti, quelli del passato e quelli del presente. E il futuro (la fine del diluvio) sembra, qui, più afferrabile che altrove e già ora.
Chi ha detto che la lettura è una immortalità all’indietro poteva spingersi oltre grazie a uno dei tanti nastri di Möbius e assegnare ai libri, e in generale alla cultura, anche un valore taumaturgico se non proprio vaccinale a garanzia della nostra salute individuale e quindi di un’immortalità di specie.
E dunque fra tutti i libri presenti e gli autori intervistati vorrei parlare del libro che ancora non c’è, quello che cioè verrà scritto e che raccoglierà i frammenti del viaggio che abbiamo fatto insieme nel lungo periodo di diluvio pandemico.
È un libro che potrebbe scriversi con le parole pronunciate da Albert Camus nel suo Discorso del banchetto del 1957. Parole così lontane ma tanto, tanto più vicine di quelle di autori e autrici attualmente in classifica.
È il nastro di Möbius che continua a scorrere da La peste dello scrittore francese e non smette di attraversare il tempo occupando lo spazio che gli spetta anche in quest’arca piena di memoria e di vita.
«…[Sono] un uomo che ancora può dirsi giovane, ricco solamente dei propri dubbi e di un’opera tutt’ora in cantiere, abituato a vivere…nei ripari dell’amicizia [ e in un clima] nel quale altri scrittori sono ridotti al silenzio e il suo Paese sta vivendo una sventura incessante…Ho conosciuto questo [vostro] smarrimento e questo [vostro] turbamento interiore e per ritrovare pace mi è stato necessario fare i conti con un destino troppo generoso. E poiché non potevo farlo appoggiandomi ai miei soliti meriti, per aiutarmi non ho trovato altro che ciò che mi ha sostenuto lungo la mia vita intera e nelle circostanze più avverse: l’idea che mi sono fatto della mia arte e del ruolo dello scrittore...».
E mentre l’arca nel Salone (o il Salone nell’arca?) si riempiva di giovani, le parole di Camus risuonavano e si ripetevano a nastro:
«…Ogni generazione, senza dubbio, si crede votata a rifare il mondo. La mia, tuttavia, sa che non lo rifarà. Ma il suo compito è forse più grande. Consiste nell’impedire che il mondo si sfasci. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite, le tecniche impazzite, gli dèi morti e le ideologie estenuate, in cui poteri mediocri possono distruggere ogni cosa ma sono incapaci di convincere, in cui l’intelligenza si è abbassata al punto di farsi serva dell’odio [e dell’egoismo]…Davanti a un mondo minacciato di disintegrazione, dove i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre i regni della [estinzione], la nostra generazione sa che dovrebbe, in una sorta di folle corsa contro il tempo, restaurare tra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare nuovamente lavoro e cultura, e ricreare insieme a tutti gli uomini un’arca di alleanza…».
Un’ arca. Un’arca piena di memoria, generazioni e di vita. Un’arca pronta ad ospitare un altro libro… da scorrere, un altro nastro di Möbius da srotolare.
Il libro che non c’è ancora e che verrà scritto magari da una|uno fra le|i seimila lettrici|lettori nati nel XXI secolo che in più di 170 scuole, distribuite in 18 regioni italiane, hanno letto La peste di Camus.
Proprio mentre intorno a loro infuriava la nuova peste.
Verrà scritto questo nuovo libro e parlerà del coraggio e della capacità di mettere da parte l’egoismo, il proprio particolare, in vista di un orizzonte più largo nello spazio e più profondo nel tempo. Sarà, forse, un nuovo romanzo, un saggio o una raccolta poetica di certo sarà un parallelepipedo di parole che parleranno dell’inclinazione incorreggibile degli esseri umani a negare un’evidenza prima di esserne toccati direttamente; sarà un parallelepipedo di storie che racconteranno come si fronteggia, nella calamità, il meglio e il peggio degli umani e come nessuna apocalisse riuscirà a togliere la disposizione all’amore, all’amicizia, alla voglia di cantare e di contare.
Sarà un libro che nel futuro restituirà questo presente che è stato sottratto a tanti perché da quest’arca si avverte che c’è (ci sarà) un Paese che non trova spazio nelle cronache, nei notiziari, nelle interminabili ed estenuanti maratone di “protagonisti”, nelle prese e nelle vite in diretta, in arene circensi tra pigli gladiatorî.
Ci sarà (perché c’è) un Paese fatto di persone coraggiose, responsabili e oneste ma non eroiche perché
«…non [bisogna credere] all’eroismo, so che è fin troppo facile e ho scoperto che uccide. [A noi] dovrebbe interessare che tutti [donne, uomini,…TUTTI] vivano e muoiano per ciò che amano.».
Forse un libro così che proprio in questo momento si sta scrivendo, come un vero e proprio nastro di Möbius, potrebbe incidere anche su questa parte di tempo e ricevere da noi un aiuto per essere presentato in uno dei prossimi Saloni.
Una volta scesi tutti dall’arca.
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