sabato 24 luglio 2021
TRA la parola e il mondo
Non è bello autocitarsi ma lo faccio esclusivamente per riaffermare un…compiacimento di specie e poi perché credo che la poesia sia un indecifrabile fenomeno di citazioni astronomiche, geologiche, biologiche e biografiche.
In una mia precedente recensione sulla poesia di Angelo Andreotti, poeta del quale continuo ad occuparmi anche qui di seguito, ho “presentito”, per così dire, il titolo della sua nuova raccolta:
“…possiamo immaginare un mondo senza luoghi…ma è difficile immaginare un mondo senza lo scorrere del tempo anche se questo fluire …è assente alla descrizione del mondo. Questo flusso non può essere descritto, studiato, interrogato ma solo mostrato e uno dei modi per farlo è quello di mischiare le parole al mondo…”
Il poeta è colui che sta tra parola e mondo; è cioè l’individuo della specie umana che in questa confusione, anzi: tra queste confusioni (le parole da una parte e tutto ciò che accade dall’altra) sta sulla superficie che le separa.
Come un faro nel suo calmo fermento di nebulosa iridiscenza che nulla indica e nulla dice ma mostra. Nel Prologo dell’ultima raccolta di Andreotti, Tra parola e mondo (Manni Editore 2021), c’è questa immagine del faro che ancora una volta mi rafforza nell’idea che il poeta, dalla sua posizione più o meno privilegiata, più o meno scomoda, invia sempre lo stesso identico messaggio iridescente e, se volete, sonoro, per gettare luce (e suono) sulle trasformazioni che accadono intorno a lui.
Da questo discende il mio personale compiacimento di…specie per l’autocitazione: bazzicando da tempo le parole di Andreotti nel loro precipitare da un tempo e da un ritmo comune, mi piace confermare la presenza nella nostra specie di individui che ci riportano, “naturalmente”, tra i boschi, per terra, nelle caverne:
Nel bosco i rami, già dal primo autunno,/schiudono il cielo con dita ritorte./La terra stringe alle radici gli alberi/ma le radici obbediscono al sole/...[pg.9]
Gli individui di questa specie, i poeti, vivono ancora -metaforicamente parlando, s’intende - nelle caverne dove il pavimento è la terra stessa. Le pareti e il tetto sono la terra stessa.
Vivere in una caverna è vivere NELLA terra non SU DI ESSA :
Alla terra ai tuoi piedi tu chiedi/se quando sei a occhi chiusi/tra le palpebre serrate e buie/fuori il tempo rimuove le cose./ [pg. 31]
Dalla terra il poeta trae nutrimento così come fanno le piante che crescono nelle vicinanze e gli animali che vagano nei pressi o il povero vagabondo in cerca di riparo. Dalla bocca della caverna (porta bianca) si vede il mondo reale e non un’immagine di esso. A volte si traccia un segno sulle pareti delle grotte, non per rappresentare paesaggi ma figure di sé, dei propri cari, degli antenati, degli spiriti.
Proprio nel cuore della grotta, il fuoco-nel focolare-è una fonte non solo di calore ma di vita stessa. E a livello sonoro, la grotta risuona dei rumori del mondo. Così la grotta non è un contenitore della vita più di quanto lo sia il nostro corpo. Non viviamo all’interno del nostro corpo, ma - nel respirare, nel disegnare, nell’ascoltare, nel…mangiare- raccogliamo continuamente e alternativamente il mondo in noi stessi e del mondo ci liberiamo: .../l'insaziabile lingua del mistero/che è radice occulta nella notte,/voce che alla terra lega il cielo./... [pg. 43].
Evidentemente tutto nasce NEL suolo e non SU DI ESSO. Il poeta questo lo sa e ciò che …conta per una pianta, conta anche per lui, individuo nella caverna: avere accesso all’energia solare, alla luce! ...., chiedi,/come la luce invernale chiede/il colore delle cose al sole./[pg. 50]
Questo aspetto dell’esperienza poetica viene sempre “evidentemente nascosto” da Andreotti ma, per fortuna, è già stato così vividamente evocato e descritto da Paul Klee: “Il seme mette radici, la linea dapprima si dirige verso la terra non per viverci ma per ritrarne energia onde emergere…”.
eppure/inerpicandosi lungo il cielo/spalancò ariose lontananze, larghe/vallate percorse dal vento./...[pg.63]
È il TRA tra la parola e il mondo, è questa la poesia perché la "pianta" è DELLA (e non SULLA) terra che è anche del cielo. È grazie a questa esposizione al mondo che la parola continua a esplodere non distruggendo, perforando una superficie bensì creandola.
Ciò che il poeta pur non conoscendo ( o forse proprio per questo) crea è posto su questa superficie che separa parola e mondo. Ciò che distingue Questo individuo della specie non è la ricchezza o la povertà del suo vocabolario; non è la sua maggiore o minore conoscenza delle cose che accadono nel mondo; non è la perfezione o imperfezione dei suoi versi. No. Ciò che distingue il poeta è la sua attenzione agli stimoli anche a quelli più apparentemente insignificanti: una bambina che si scusa per averti urtato; un fiore che si schiude in questo istante; un orto di passeri e merli; una nebbia che fluttua l’orizzonte.
La differenza dunque non sta in quanto si conosce ma...quanto bene.
Mi appoggio a terra che odora di argilla,/tra ortiche e gelsi, sambuchi e tarassaco./Qui distinguo i colori sfuggenti,/i rumori infrattati in cespugli/così fitti da togliere il passo./Qui torno ogni tanto poiché/tutto ciò che il tempo mi ha perso/lo ritrovo nel tempo che mi ospita./ [pg.115]
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