martedì 22 giugno 2021
I poeti del Sogno e i sogni del Poeta
La poesia emerge dove meno te l’aspetti ma c’è un luogo, eminentemente favorito, per questa…apparizione ed è il sogno.
Si racconta che il primo poeta anglosassone imparò l’arte del canto in sogno. Caedmon era un pastore analfabeta che a mala pena parlava. Ogni volta che durante un festeggiamento intorno al fuoco si decideva che si dovesse cantare una canzone, Caedmon, si tirava indietro con la scusa di dover badare al gregge.
Una sera dopo cena qualcuno gli passò l’arpa e lui, più imbarazzato del solito, scappò in una stalla. Qui si addormentò e fece uno strano sogno. Una figura misteriosa, probabilmente un messaggero divino, gli apparve e gli disse “Devi cantarmi qualcosa”. Caedmon nel sogno gli rispose: “Non ne sono capace. Per questo ho preferito nascondermi qui , piuttosto che stare con i miei amici ad ubriacarmi intorno al fuoco”.
Ma l’angelo (o il demone) lo incalzò chiedendogli di cantare e Caedmon spazientito e allo stesso tempo intimorito da questa figura domandò: “Ma dimmi. Cosa devo cantare?”
Questo episodio mi è tornato alla mente leggendo il libro di Antonio Fiori , I poeti del sogno. Piccola antologia (Inschibboleth, Roma, 2020) che è una sorprendente antologia di poeti di diverse epoche che nel corso della storia hanno ricevuto tutti lo stesso identico sogno.
Tutti, a cominciare dal primo poeta antologizzato, Lucio Faleno Magno con alcuni suoi fragmenta dell’età augustea, fino all’ultimo, il ligure Gherardo Finzio laureato in architettura e praticante presso lo studio di un giovane Renzo Piano, tutti e dodici questi poeti hanno fatto quello stesso sogno: un misteriosa figura, percepita come un angelo ( o un demone), che riferisce loro lo stesso (incomprensibile) messaggio.
Nei versi dei poeti antologizzati non vi è ovviamente alcun riferimento al sogno, ma Fiori nella sua appassionata e appassionante “ricerca”, ricostruisce le vite di questi poeti e stabilisce per ognuno, attraverso cenni biografici, documenti apocrifi, aneddoti, la pertinenza dell’accaduto, di un sogno che in un modo o nell’altro ha decisamente influenzato la vita dell’autore.
Le testimonianze e gli stessi testimoni riportati da Fiori nelle biografie dei poeti sono tutti autentici e documentabili. Gli amici dei poeti, alcuni avversari o peggio, artisti invidiosi del successo o della bravura del poeta, sono personaggi realmente esistiti.
Chi davvero non esiste nella realtà di questo libro è il Poeta o meglio, paradossalmente, ne esiste solo uno: Antonio Fiori.
Già perché gli autori di questa suggestiva antologia metaletteraria sono tutti inventati , creati dall’unico artefice che così senza nulla fare, fa.
Decidendo con quest’opera di “sparire” come poeta, di confondere ogni traccia letterariamente rilevabile della sua presenza ( i testi sono così vari e filologicamente corretti per l’epoca di ogni singolo “autore”, da “non essere” testi di…Antonio Fiori), l’autore sembra porre la domanda che aspetta una ineludibile risposta: che cos’è reale?
E insieme agli altri enigmi racchiusi in questo piccolo scrigno letterario (p.es. cosa dice l’emissario divino? In quale lingua parla? Perché i poeti antologizzati sono 12?), è questo l’enigma degli enigma. Cosa è davvero reale della/nella nostra vita?
Noi contemporanei abitiamo un mondo quantistico nel quale la nostra realtà, se vogliamo davvero esserne consapevoli, a livello subatomico è sensibile più alla volontà e alla percezione che alla nostra abilità intellettuale e tecnico scientifica, il che suggerisce una vaga somiglianza con questo mondo di messaggi provenienti da chissà dove ( da un inconscio più o meno collettivo? Da un aldilà? Da un altro universo o da un altro tempo?) creato da Antonio Fiori.
Gli enigmi verranno tutti (quasi) risolti dall’autore nella sua postfazione e quindi come è nella migliore delle tradizioni, terrò nascosto il “finale” dell’antologia (quando mai il lettore è stato incuriosito da questo se non nei gialli?) , ma tornando per un attimo al famoso sogno iniziale del nostro pastore anglosassone, noi sappiamo cosa il messaggero risponde quando Caedmon gli chiede “ Ma cosa devo cantare?”
“Canta l’origine delle cose create”, gli ordina il messaggero.
Caedmon allora apre la bocca e per la prima volta canta e, con sua grande meraviglia, ne sgorgano magnifici versi in lode a Dio. Caedmon si risveglia così poeta ma la poesia che canta al risveglio non è così bella come quella che aveva …cantato?...ascoltato?...nel sogno.
Già, tutti i poeti sanno che non è possibile tradurre letteralmente ciò che si ascolta senza sacrificare una parte dell’originaria bellezza. Per questo il messaggio dell’angelo o demone, pur essendo sempre lo stesso, risulta incomprensibile e intraducibile a tutte le lingue dei dodici poeti del sogno.
E così Fiori ancora una volta ci suggerisce che si viene spinti a scrivere una poesia, ci si sente chiamati a cantare, per via di un impulso trascendente, un indefinibile desiderio di superare la dimensione finita e storica e raggiungere finalmente la Realtà che sta dietro a tutte le cose.
Nel biglietto d’invito era ossequioso/
in ciascuno chiudeva: “L’aspetto fiducioso”./
La festa era la sera degli Angeli, il due agosto./
Quel giorno, all’ora del tramonto, tutto era pronto:/
accesi i candelabri, i tavoli imbanditi/
la piccola orchestra che prova gli strumenti/
il salone, al centro, già vuoto per le danze./
Ma l’attesa fu vana, e fu snervante./
A mezzanotte, insonne, aperte le finestre,/
solo, ascoltava la voce delle onde. /
[di Carlo Gasperino, 1934]
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento