Come è facile verificare, esistono tantissimi libri di poesia e quindi, evidentemente, sono esistiti, esistono e, sicuramente, continueranno ad esistere, tanti, tantissimi poeti. Tutti quanti, anche se in grado differente, in natura hanno fatto, fanno e faranno la stessa cosa: poesia.
Ma è proprio per questa sua intrinseca gradualità che, sotto il nome di poesia, si nasconde qualcosa di cui è difficile riconoscerne la vera natura. C’è chi parla di “emozione” chi di “sentimento”, chi di “visione”; c’è chi, tra illustri intellettuali e poeti stessi come B. Croce, E. Pound, T.S. Eliot, pensa di cogliere e di poter raccogliere in poche righe la natura essenziale della poesia.
Pochi comunque sono i libri che parlano di Esperienza Poetica coinvolgendo, in questo ossimoro esemplare[1], il Grande Gomitolo della poesia, con tutti i suoi intrecci, le diverse intersezioni del suo filare e sfilare e con gli immancabili bandoli della matassa. Già, da dove cominciare? Da quale delle due estremità della "esperienza poetica": la scrittura o la lettura?
Nè dall’una , né dall’altra. Cominciamo invece da qui: dall’allevamento, dall’agricoltura e dalla metallurgia. Perché prima di tutto abbiamo bisogno di contadini... gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento.[2]
Una delle certezze indiscutibili acquisita dalla specie umana nell’arco della sua evoluzione è che non sia possibile superare in ingegno coloro che in un’epoca preistorica hanno scoperto ( o inventato) come addomesticare gli animali, selezionare le graminacee e fondere i metalli in leghe.[3]
Allevamento, agricoltura e metallurgia rappresentano quindi le tre attività umane nelle quali è già presente tutto il repertorio dell’ homo sapiens di oggi.
Nella sua voglia innata di prendere coscienza di sé, l’animale-uomo per sfamarsi, difendersi e riprodursi, per rispondere, cioè, a degli istinti primari, non poteva che ricorrere a queste tre sole ed esclusive attività quali mezzi, perfezionabili di volta in volta, in grado di cosentirgli un fine non ambiguo: quello di sopravvivere a se stesso.
Rinunciare ad una sola di queste attività voleva dire rinunciare a prendere coscienza di sé e questa omissione poteva significare solo due cose: 1) la convinzione che tutto funzionasse bene e che quindi non fosse necessario porsi alcun problema oppure 2) la rimozione della consapevolezza di qualunque disfunzione.
Per essere più chiari: se procurarsi cibo, difendersi dai predatori, accoppiarsi sono o diventano problemi, allora per risolverli bisogna mettere in campo una serie di strategie (allevare, coltivare, difendersi); se, viceversa, queste cose non sono o non vengono percepite come problemi, si muore e ci si estingue, punto.
La poesia è un’attività eminentemente analogica e nasce dallo stretto intreccio, dal gomitolo appunto, che si crea tra la presa di coscienza di sé e le tre attività umane ricordate sopra.
L’esperienza è poetica per questo motivo e la poesia è esperienza per lo stesso motivo: addomesticare gli animali e allevarli; arare campi e selezionare semi per migliorare quantità e qualità dei raccolti; cuocere nel fuoco la materia per fare il pane o nuove leghe metalliche sono cose analoghe alla poesia pur non essendo la stessa cosa.
Il che è come dire che l’emozione è analoga al sentimento pur non essendo la stessa cosa. E oggi sappiamo perché e in che misura non lo sono.
In uno dei tanti libri che parla di poesia e poeti si fa riferimento spesso-troppo spesso- alla emozione, a volte confondendola con la percezione, l’ istinto, il sentimento con quanto, cioè, risulti vago e misterioso: tutto questo, in qualche misura, sembra di diritto appartenere al mondo della poesia.
Eppure non vi è nulla di più concreto e materiale della poesia ( proprio perché è l’analogo di attività produttive e pesanti come quelle descritte). Lo stesso Manacorda nel suo ultimo bellissimo libro [4] ce lo ricorda: ...Come una scultura, la poesia è un oggetto e, inoltre, la poesia è una produzione del nostro corpo, se volete una sublime deiezione. Anche la poesia è materia e, se tale è, non può non avere a che fare con la scienza...
La definizione di sentimento fornita dal neurobiologo portoghese Antonio Damasio è:immagine mentale consapevole, riferita al sé, delle modificazioni indotte nel corpo da uno stato emozionale.[5]
In altri termini, proviamo sentimenti (i famosi sommovimenti del pensiero di proustiana memoria [6]) quando le mappe neurali corporee, da inconsce che erano, vengono...sapute, percepite e riferite al sé divenendo immagini mentali. E queste mappe neurali corporee prendono forma e “si sanno” attraverso le tre suddette attività, quando cioè la pratica si intreccia alla creatività: arando un campo si acquisisce un ritmo; controllando i capi di bestiame si perviene a un numero; cuocendo e forgiando nel fuoco si trasforma la materia e noi stessi.
Quando si arriva di fronte al sito del paleolitico di Papasidero (la Grotta del Romito) e si poggia lo sguardo sul graffito raffigurante due bovidi risalenti a 10500 anni fa, si capisce cosa si voglia intendere: un ominide, dedito ad inseguire quel bovide per procacciarsi del cibo, improvvisamente, oltre a vederlo, lo guarda mosso da qualcosa di diverso dalla fame e lo assimila mentalmente tanto da poterlo riprodurre con mano ferma, e in ogni minimo particolare, su una pietra posta all’ingresso di una caverna usata per le sepolture lontano dal luogo di caccia.
Qui in pratica è racchiusa e quindi anticipata la seguente conclusione: la poesia è, sì, un’ emozione ( come chiamare altrimenti ciò che muove il nostro parente del paleolitico) ma cristallizzata nel modo opportuno, raggomitolata cioè in qualcosa di molto pratico: un sentimento.
In tutte queste attività umane, antesignane di quelle che l’uomo ha continuato a scoprire/inventare negli anni della sua evoluzione da ominide a homo sapiens, si ravvisano le operazioni umane che l’archeologia, l’antropologia, l’agronomia, la neurobiologia, la chimica , la fisica....insomma tutte le scienze hanno confermato, e che sono in grado di ex-movere l’uomo allo (dallo) stimolo di raggomitolare quello che vede-muove-avverte-sente-crea con gli immancabili bandoli (sempre difficili da individuare) tra interno ed esterno, mente e corpo, coscienza e cervello. Soggettività e Oggettività.
In queste operazioni biologiche, soltanto il livello del mentale, quale è appunto un sentimento, consente l’integrazione di grandi quantità di informazioni e, soprattutto, di afferrare il filo temporale del gomitolo: presente, passato e futuro.
Andare a caccia per procurarsi del cibo. Portare i capi di bestiame sui pascoli alti. Cuocere il pane o i mattoni, fondere metalli per creare nuovi materiali: “sono” queste le immagine mentali consapevoli, riferite al sé, sono queste le modificazioni indotte nel corpo da stati emozionali che hanno consentito, consentono e consentiranno la poesia.
Questa è l’Esperienza Poetica.
Se “andando a caccia” ci è capitato di osservare più a lungo una preda per mutarla in un animale, o abbiamo ceduto la strada agli alberi [2], una casa ad un paesaggio, stiamo già disegnando.
Se di notte ci siamo fermati al bivacco in un pascolo di montagna e prima di chiudere gli occhi abbiamo dato uno sguardo al cielo stellato, stiamo già scrivendo.
Se con l’aratro tirato da buoi abbiamo percorso avanti e indietro un campo, stiamo già cantando.
Se intorno al fuoco ci è capitato di vedere sciogliersi la pietra o le nostre membra nelle ombre sulle pareti della caverna, stiamo già facendo, poesia.
Riferimenti
[1] - esperienza da ex-perior= esperire, sperimentare; attività posta in essere per acquisire una conoscenza pratica e poetica da poieo= fare creare; attività intesa a produrre componimenti in versi o in generale oggetti d’arte in grado di ex-movere, cum-movere, re-movere, ...
[2] – F. Arminio, Cedi la strada agli alberi, Chiarelettere (2017)
[3] - E. Melandri, La linea e il circolo, Quodlibet (2004)
[4] - G. Manacorda, La poesia, Castelvecchi (2016)
[5] - A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza: emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi (2003)
[6] – M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Sodoma e Gomorra : “L’amore provoca così nel pensiero dei veri e propri sommovimenti geologici. In quello del signor Charlus, che – qualche giorno prima – somigliava a una pianura così uniforme che fino ai limiti estremi egli non avrebbe potuto scorgere un’idea sola levarsi dal suolo, erano sorte d’improvviso, dure come la pietra, catene di montagne […] dove si torcevano in gruppi giganteschi e titanici il Furore, la Gelosia, la Curiosità, l’Invidia, l’Odio, la Sofferenza, l’Orgoglio, lo Spavento e l’Amore.
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