giovedì 8 maggio 2014

Buon sangue.Non Mente

Dopo aver "attraversato" l'ultimo libro di Valerio Magrelli (Il sangue amaro, Einaudi 2014) sono arrivato qua.


Oggi noi chiamiamo tecnica, quella che i Greci chiamavano arte e riteniamo che essa identifichi l’insieme degli strumenti utili a svolgere una data attività. Ma è un errore: questa è la tecnologia. La tecnica è, secondo una felice intuizione di G. Ungaretti [1]

...un’impresa sorta dalla memoria [...] ...il risultato di una catena temporale di sforzi coordinati... necessari a porre ordine in una materia caotica. La tecnica è cioè un metro, una misura intrinseca alla memoria; è un ritmo...”

una regolarità in grado di marcare, preservare e tramandare una Identità. Quando diventa necessario marcare una identità e salvaguardare una memoria si ricorre al ritmo. La téchne, quindi l’arte, nasce dalla memoria. Come non essere d’accordo con questa ispirata intuizione! La tecnica astronomica nasce dalla memoria del cielo, dalla regolarità del moto dei pianeti e dei cerchi intorno alla stella polare. E dalle stagioni che si succedono a un ritmo prestabilito nasce la tecnica agricola che è memoria della terra. La tecnica sportiva e ogni danza rituale, emerge dalla ripetizione del gesto, dalla recita dei passi. La tecnica poetica nasce dallo scorrere regolare (in greco reo, da cui ritmo e rima) delle parole che è memoria in sé.

Allo stesso tempo però la tecnica è sempre stata vista come un artificio, un trucco e quindi come tale una potenziale minaccia per l’ Identità. Tale cosa vien ben espressa da questo brano di Chuang-tzu [2]:

...Se uno utilizza macchine, allora compie macchinalmente tutti i suoi atti; chi compie macchinalmente tutti i suoi atti, ha alla fine un cuore di macchina; ma se uno ha un cuore di macchina nel petto, perde la pura semplicità; uno che abbia perso la pura semplicità, diviene incerto nei moti del suo spirito...”,

diventa incerto della sua identità. E infatti Ungaretti [1] espande la sua precedente intuizione fino a farne una profezia: la tecnica seppure sorta dalla memoria:

... è allo stesso tempo in antinomia” con essa.

La tecnica quale artificio (la tecnologia), è minaccia per la memoria. Non è un caso infatti che la tecnica venga percepita anche come prodromo della distruzione e della scomparsa di un mondo precedente, cioè di una identità e una memoria. E’ stato così con la televisione che doveva uccidere la radio e il cinema; con il web che a sua volta avrebbe dovuto uccidere la televisione e che dire dell’ e-book bibliofago sterminatore della carta stampata e del subdolo blog, dell’insinuante cinguettio killers designati della frase fatta e compiuta.

Lo stesso passaggio dalla parola orale a quella scritta è stato visto come una minaccia alla memoria e all’identità perché impresa che nasce per la memoria e non da essa. Basta rileggere il seguente brano dal Fedro di Platone [3]:

 “[...] SocrateHo sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio...di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, [d] del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto. Re dell’intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell’Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava [e] negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all’alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani piú sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei [275 a] inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà [b] una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti...”.

In questo passaggio dalla parola orale a quella scritta -da una tecnica ad un’altra, da un’ Età all’altra- come nel passaggio da un padre a un figlio e da una Identità ad un’altra, diventa importante costruire e contare sulla struttura di un buon ponte. Un ponte fisico, genetico, culturale, spirituale che ci permetta di tenere unite due sponde e poter trasportare quello che abbiamo ammassato (anche in modo frammentario e disordinato) su una sponda – l’arte, la scienza, la memoria, l’identità e gli altri pezzi del puzzle...di un mondo organico, vivente...- sull’altra sponda. Quale p o n t e può aiutarci nell’attraversamento? E chi sarà così attento da predisporre le giuste pile per reggere saldamente un’anima piena fino ai reni dell’arco e alle spalle sull’argine? Chi ne sarà il collaudatore che certificherà e garantirà l’accesso agevole e sicuro all’altra sponda per tutti noi?

Il p o e t a più di tutti gli uomini, come il p o n t e più di tutte le costruzioni “... è il tenutario, lo spettatore del teatro di un io contingente...” [4], è quello che sorregge le identità effimere, le biografie che passano da una sponda ad un’altra. “...tutti i poeti sono erranti...“ come tutti i ponti non sono abitabili se non da ....erranti! Queste considerazioni di Maria Calandrone si riferiscono a un poeta/ponte e alla sua ultima raccolta/costruzione: Il sangue amaro di Valerio Magrelli [5] .

La Calandrone dice espressamente che sta parlando di un poeta/ponte [4] :

...quando abbiamo ormai attraversato l’intero libro.... a un passo dalla chiusa...” o, potremmo dire, dall’altra parte del ponte, “...Magrelli si scaglia contro l’Io...” cioè quell’ansiosa identità di “....bradi animali umani che circolano continuamente tra dentro e fuori...” .

Ci pare di vederli gli erranti dell’Età dell’Ansia in cerca di un guado o magari di un ponte nuovo, un piccolo ponte con pile binate- che sono da preferire per estetica e trasparenza agli altri tipi di pile- con un appoggio razionale sotto le anime. (Indifferentemente si potrebbe parlare di pile binate dei versi per via della loro estetica e trasparenza così come anche dell’appoggio razionale su cui le anime dei versi s’ergono e si reggono!)

Il Poeta/Ponte Magrelli si costruisce in questa raccolta per trasportarci sull’altra sponda e consegnarci alla nostra nuova Identità di uomini sfiniti dall' estenuante e interminabile Età dell’Ansia, disillusi dall’Età della Tecnica e smemorati/smarriti di fronte all’Età della Tecnologia.

Natale, credo, scada il bollino blu/del motorino, il canone URAR TV,/poi l’ICI e in più il secondo/acconto IRPEF-o era INRI?

Nessuna arte potrà mai nascere da questo rumore di acronimi moderni fatti per la memoria; meri artifizi che impongono una sorta di carpe diem allo scadenzario delle ansietà moderne. Come diventa evocativo e ritmico quell’INRI posto alla fine della prima quartina! ( Alla fine di una crocefissione?)

La password, il codice utente, PIN e PUK /sono le nostre dolcissime metastasi./Ciò è bene, perché io amo i contributi,/l’anestesia, l’anagrafe telematica,/

Senza renderci conto veniamo invasi, minacciati da tutto ciò che dovrebbe aiutare la nostra identificazione: i pin, i puk, le userid, le password, le loro scadenze e successive riproposizioni, diventano i nostri codici a sbarre per definirci per ricordare e ricordarci. Italo Calvino sostiene [6] che due

...sono le condizioni necessarie dell’identità: [la] prima [e’] che io sia in grado di ripetere un’esperienza, sapendo di ripeterla, per esempio riconoscermi guardandomi allo specchio; [la] seconda [è] che gli altri siano in grado di capire, da una volta all’altra, che io sono sempre io...”

Oggi più che specchiarci ci guardiamo e vogliamo essere guardati; su uno schermo, quello di uno smartphone, quello di un notebook. Lì su quella “bacheca”, su quello specchio cinematografico, lasciamo da una volta all’altra, da un istante all’altro (senza più nessuna attenzione al ritmo e a una regola/ regolarità) il nostro cambiamento. Per svolgere le nostre attività non abbiamo più bisogno di ritmo ma di istante, non di tecnica ma dell’uso veloce di strumenti, di tecnologia dunque. La tecnica è stata arte perché impresa sorta dalla memoria ma l’artificio per la memoria -la tecnologia- è lì per sostituire al ritmo l’istante con la conseguente perdita di identità:

ma sento che qualcosa è andato perso/e insieme che il dolore mi è rimasto/mentre mi prende acuta nostalgia/per una forma di vita estinta: la mia.

Magrelli con sangue amaro porta a termine questo viaggio verso l’ Identità dell’Uomo dell’Età post- tecnologica e lo fa dopo due tappe importanti nelle quali ha seguito ( ha osservato) l’evoluzione dell’Identità che , prima, nei Disturbi del sistema binario [7], cerca di emergere tra coppie concettuali ed emotive dialettiche e contrapposte ( a volte irriducibili come la famosa anatra-lepre di Wittgenstein); successivamente, nella Geologia di un padre [8] viene ricercata, l'identità, scientificamente, scavando nel profondo, quasi si trattasse di un’impronta fossile, un segno indelebile che ci precede e ci segue per definirci in ogni istante intermedio.

Il sangue amaro è la fine di questo processo analitico e psicoanalitico, di questa impresa sorta dalla memoria collettiva ed individuale che (ri)-conduce ad un identità primitiva: l’Uomo ama rievocare se stesso e la propria origine perché sente la mancanza di sé.

Cosa è quella cicatrice della figlia [5]

...che una sua compagna/tracciò sopra la guancia...

se non una rievocazione?

Perché la guardo? Solo per ripetermi che il Tempo/lì è trascorso, affidando il saluto ad un’unghiata.

Quel segno fortuito è il contraltare dei “tatuaggi” di Facebook, dei “piercing” di Twitter di quei segni per la memoria che le tecnologie impongono quale affermazione di una Identità: un segno dalla vita contro i segni per la vita. Non è primitivismo questo?

Come è importante che il Tempo trascorra con un suo ritmo! E invece, oggi, l’ansia e la tecnica erodono e demoliscono tutto ciò che precede e segue. Hanno creato aritmie temporali, linguistiche, emotive per concentrare tutto nell'/sull'/all’istante senza più riguardo per il passato e futuro. Come dice Jonathan Franzen [9]:

...siamo ormai abitanti di un epoca che ha perso la propensione a essere posterità...i tecnici hanno demolito il ponte e il futuro è ciò che segue automaticamente....ci troviamo a passare la maggior parte del nostro tempo a mandare SMS, e-mail, tweet ...Ci dicono che per rimanere competitivi [in tutti i sensi] dobbiamo dimenticare le discipline umanistiche e insegnare ai nostri figli “la passione” per le tecnologie digitali ...ma [non abbiamo capito] che se due più due fa davvero quattro, questo è dovuto al fatto che Goethe ha scritto la poesia Bonaccia....”

E Magrelli nel recupero di un' Identità psicoanalizzata e nanotecnologica non trova di meglio che rintracciare nel primitivismo [5] questo possibile ennesimo approdo di sé.

Ponti/poeti

I ponti! Quanti ponti nella storia, ancora in costruzione o già in rovina!/Davanti al loro gesto connettivo, davanti al loro amore pontificale,/ripenso ai tanti riti celebrati in tanti luoghi di passaggio e guado./Per Ellade, nel ponte a Finisterre, fu sepolto un bambino, mentre Pont d’Os,/situato nella Loira, sorgerebbe sui resti di invasori sconfitti/e trasformati in fondamenta. Tali efferate pratiche miravano/a fare delle vittime anticorpi, segreti spiriti protettori dell’opera./Vennero poi liturgie meno brutali, per addomesticare questa pena./Così, ad esempio, nell’antica Roma, prima di fabbricare un nuovo ponte,/le vergini Vestali gettavano nell’acqua bamboline di giunco/(si tratta del medesimo sistema che Eliade scorse nel brahmanesimo,/con l’impiego di effigi o figure di pane, invece di creature sacrificali).

Nella sua impresa autoreferenziale di farsi ponte per rievocarsi ed attraversarsi, Magrelli è consapevole che a scrivere, a costruire il ponte, è lui in quanto esemplare di uno sciame di [6]

...bianchi eurocentrici consumisti petrolifagi e alfabetiferi...”

con le fondamenta delle identità ben piantate in una colonia di cromosomi affini che abitano le nostre cellule e che sentono una solidarietà e comunanza tra loro mentre un rapporto di aggressività esiste tra cromosomi avversi. L’Età dell’Ansia è congenita

La nostra individualità è attraversata da una continuità genetica che si frantuma e miscela incessantemente secondo stratificazioni “geologiche” che hanno radici sia nella casalinga nascita di un nuovo individuo che nel profondo big-bang spazio temporale. L’Età della Tecnica è congenita.

E allora per non scoraggiarci nella vana ricerca di un nuovo IO non possiamo che fare questo passaggio a un neoprimitivismo post-tecnologico : nella Età della Tecnologia dove qualunque ritmo è minacciato dalla presenza dell’istante l’unica sponda raggiungibile è la Natura, vale a dire recuperare il sentire di una popolazione dell’Alto Volta che nella persona umana distingue nove componenti [6] :

...1) il corpo che si riceve dalla madre, 2) il sangue [amaro?], che si riceve dal padre, 3) l’ombra che il corpo proietta, 4) calore e sudore, 5) il respiro, 6) la vita, o meglio una particela della vita, che è un’entità in cui tutti gli esseri viventi sono immersi, 7) il pensiero, suddiviso in intendimento e coscienza, 8) il doppio, che è la parte immortale , che può compiere e subire le stregonerie ( si stacca dal corpo ogni notte per vagare nei sogni, e poi definitivamente qualche anno prima della morte per andare nel villaggio dei morti dove avrà altre due vite e altre due morti da morto e finalmente si incarnerà in un albero), 9) il destino individuale...”

Se Tutto si tiene è perché i poeti, come i ponti, tengono le sponde: erti sulle loro pile reggono l’anima, riempiono il vuoto e alleviano il passaggio.

Se tutto dovesse andar bene,  
ma veramente bene, senza incidenti o crolli,                  
infine arriverà la tremarella.                                      
Vedo amici più anziani che vibrano
il mento scosso, le mani inarrestabili.               
Parliamo allora di questo movimento,                                         
un vento che soffia da dentro
per scuotere le foglie delle dita                        
e non si ferma più.

E’ questo stormire neurologico
di fronde che dunque mi attende                 
se tutto, proprio tutto, dovesse andare bene.                                   
E mi tramuterò in una betulla                                                               
o in un cipresso sul bordo del fiume,                                     
con quel tremore di luci alzate dalla brezza.                                        
Mi farò soffio, mi farò soffiare,          
panno lasciato al sole ad asciugare.



Riferimenti

[1]-G. Ungaretti, lettera scritta a Leonardo Sinisgalli per il primo numero di Civiltà delle Macchine, Gennaio 1953;      
[2]-Chuang-tzu, Zhuang-zi, Biblioteca Adelphi 1982, 5ª ediz.;                                        
[3]-Platone, Fedro Piccola Biblioteca Einaudi-Classici 2011;
[4]-M. Calandrone, Poesia Aprile 2014 N° 292;
[5]-V. Magrelli, Il sangue amaro, Einaudi 2014;                    
[6]- I. Calvino, Civiltà delle macchine, XXV, 1977;                      
[7]-V. Magrelli, Disturbi del sistema binario, Einaudi, 2006;                   
[8]-V. Magrelli, Geologia di un padre Einaudi,2013;                 
[9]-J.Franzen, Internazionale, n°1022, 2013 ;

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