venerdì 5 dicembre 2014

Futurismo senza futuro o viceversa?

La vita di ogni avanguardia è breve.
Deve esserlo.
Specie se mira all’imminenza del futuro.

Erroneamente si crede che il futuro abbia a che fare con il tempo; invece è solo una questione di… spazio.
Ancora erroneamente si crede che il Futuro abbia a che fare con la Velocità e la Tecnologia (gli strumenti e i mezzi sempre più perfezionati e sofisticati. Il 3D. Lo HD. Il WiFi) ma è invece solo una questione di…cura dell’istante (questa è la vera utopia: fare le cose per bene al momento giusto!).

Quando Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e principale teorico del Futurismo, pubblicò il suo famoso manifesto su “Le Figaro” (20 Febbraio 1909), probabilmente già sapeva che nell’arco di dieci anni quella rivoluzione si sarebbe di fatto conclusa e, come lui stesso ebbe a dire, <<…si sarebbe dovuto gettare tutto nel cestino…come cose inutili…Noi lo desideriamo!>>.

Cosa direbbe oggi il povero Marinetti nel vederle, quel milione di automobili ruggenti che sembrano correre sulle mitraglie e quelle grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla sommossa; nel constatare insomma i risultati di quella “Civiltà delle Macchine” esaltata e mitizzata anche da poeti-ingegneri?
E cosa direbbe nel vedere l’accanimento terapeutico sul suo Futurismo per tenerlo in vita grazie alle macchine, al web a quel neo-dedalo digitale che ormai necessita di una sua Arianna per entrarvi e non lasciarsi irretire?

E’ in questo nuovo spazio, virtuale e senza dimensioni, che oggi è finito il Futuro!

Che il Futuro sia una questione di spazio è evidente per il fatto che mai ci fu più futuro di quando Cristoforo Colombo si imbarcò per colmare la distanza che separava l’Europa dalle Indie. E mai c’è stato più futuro di quando la grande epopea astronautica ha portato l’uomo sulla Luna.
Il Futuro come il Passato è né più e né meno che una proprietà del tempo presente: ci sono presenti che hanno più futuro di altri, proprio come un materiale può essere più elastico di un altro.

La macchina (e la velocità) è sempre stata la vera ossessione dei Futuristi, il loro mito, e come tale veniva (e viene ancora da taluni) celebrata per la sua capacità di liberare l’uomo dalle catene dello spazio e del tempo anzi, è una “metafora concreta” di potenza massima, funzionalità, ordine, precisione, garanzia di asetticità emotiva. La macchina è stata il motore della rivoluzione futurista della produzione industriale dell’emancipazione dell’uomo per alleggerire quello che la Weil definiva “la danza macabra” dell’uomo : il lavoro.
Ma la vera domanda, allora come oggi, è chiedere cosa quelle macchine avrebbero e hanno fatto di noi. Come quel futuro rincorso, immaginato, raggiunto e già archiviato ci avrebbe e ci ha trasformati.
Il “futurismo contemporaneo” non è credibile e non “funziona”: è solo un ossimoro.
Non può funzionare primo perché non esiste più…uno spazio convenzionale, secondo perché nel frattempo c’è stato un uomo che ha fatto corrispondere i limiti del mondo (quello individuale e quello dell’umanità) con quelli del linguaggio ( anche quello di un futurista) e oggi il linguaggio si è ridotto ad un cinguettìo, ad una nota di wikipedia o al “brum” di un motore di ricerca. Troppo poco futuro per un presente cosi poco spazioso e così tanto rumoroso.
Il vero problema, come anche i Futuristi sanno, non è dato dalla imperfezione dei mezzi: questi si possono migliorare sempre; ma dall’ambiguità dei fini: scoprire l’America? Andare sulla Luna? Costruire una nuova arma? Sconfiggere il cancro? Tagliare i costi o investire? Pace? …Guerra?
Il Futuro, le macchine ci hanno trasformati: noi, uomini tanto evoluti ed intelligenti da crearle e perfezionarle, ci siamo ritrovati ad essere analfabeti di sogni con un cuore sempre più ignorante.

E così Chuang Tzu aveva ragione : anche i moti dello spirito si conformano alla macchina.

Il futuro è passato e i futuristi con le loro macchine, alla loro straordinaria velocità di pensiero, parola e azione sono ancora lì a rincorrerlo con l’armamentario vecchio di parole libere dalla prigione del periodo, di parole che ormai sono solo un cinguettìo; soddisfatti e tronfi delle loro auto- autobiografie, dei loro profili digitali e delle loro facce tale e quali; incuranti del fatto che in quel cestino, sul loro i-pad in basso sullo schermo, c’è ancora tanto spazio per soddisfare l'ultimo desiderio di Marinetti.