sabato 14 giugno 2014

Tra Matematica e Poesia ovvero dell'Infinito e della Polvere


1. Il metodo matematico. Il metodo poetico.

Vi è una finalità comune alla Poesia e alla Matematica tanto cosciente in quest’ultima quanto latente nella prima.
Questa “finalità” è suscitare una visione unitaria e coerente di un tema liberandolo da contraddizioni e ambiguità attraverso il passaggio da una semplice intuizione (il caso?) ad un’idea ( l’atto) passando per una serie di concetti (movimento).
Entrambe queste attività umane – con i linguaggi e i modi propri – rispondono pertanto all’innata esigenza di dare una forma ed una sostanza - un ordine tout court - alle nostre esperienze, ovvero di soddisfare quella che i greci chiamavano historìa, la sete di sapere; la voglia di comprendere.
Il modo matematico, per fare questo, è soffermarsi una volta in più degli altri sulla stessa cosa grazie ad un meticoloso processo di definizione e riduzione, che spogli, per così dire, la comprensione della cosa dalle contingenze superflue che la circondano, a partire da quelle derivanti dal significato delle parole ( ecco perché si fa uso di simboli universali e univoci).
Il modo poetico invece è quello di guardare la stessa cosa una sola volta con un grande sguardo da una prospettiva personale e diversa dal luogo comune, rivestendo, per così dire, questa epifania con parole, ritmi, strofe e metafore in un processo opposto a quello precedente.

Si capisce che nel “modo” rientra anche il linguaggio che si usa : un linguaggio, come si sa, è sia una mappa del mondo sia un mondo in sé con le proprie zone d’ombra e i propri orridi quei luoghi cioè al confine di regole, affermazioni significati e percezioni.
E’ in attività umane come la matematica e la poesia che incontriamo uno degli attributi più importanti dello Spirito e della Natura umani : la capacità di concepire cose che in senso stretto non potrebbero essere concepite da esseri limitati quali siamo o che, viceversa, potrebbero essere comprese solo in …contenitori molto capaci.
Sia la Matematica che la Poesia consentono di concepire e trattare “l’Infinito”:

“I will love you forever and a day” (Ti amerò per sempre e un giorno)

“Esiste sempre un numero intero maggiore di tutti gli altri”

Attraverso la percezione che la parola “sempre” induce, o attraverso il movimento provocato da concetti (p.es., uniformità e continuità) fino ad arrivare all’atto di aggiungere qualcosa - un 1 (uno) ad esempio - a qualcos’altro precedentemente accumulato e già grandissimo, attraverso tutte queste cose, dunque, l’Infinito assume il ruolo di massima astrazione, massima confusione e massima profondità che l’umano sia in grado di ”raggiungere”.

Ma come si arriva all’Infinito?
Dalla Polvere.
E qui lo dimostreremo.

2. L’Apeìron

Tra il movimento e l’atto,
tra l’idea e la realtà
cade l’ombra

[T.S. Eliot]

…Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura…
[G. Leopardi]

Chiunque conservi anche il più vago ricordo degli studi classici e del greco in particolare non avrà dimenticato che la matematica e la poesia sono due invenzioni o scoperte – a seconda se le riteniamo appartenere più allo Spirito o più alla Natura – della civiltà greca.
Allora diamo qualche fatto attico tanto per cominciare.
Prima di tutto la Matematica greca non era effettivamente astratta ma affondava le proprie radici nella prassi babilonese-egizia. Così anche la Poesia greca, nei suoi esempi più noti, quali l’Iliade e l’Odissea, assumeva a volte il carattere di medium per imparare , memorizzare e tramandare leggi, regole ed istruzioni pratiche.
Per i greci non vi era una reale differenza tra entità aritmetiche, figure geometriche e un verso poetico, per esempio tra il numero “6”, un esagono ed un esametro.
In secondo luogo per i greci non esisteva una netta demarcazione tra matematica, metafisica e religione : per molti versi, anzi, erano tutte e tre la stessa cosa.
E, infine, per loro, sarebbe apparsa incomprensibile l’odierna avversione per il “limite” anzi, essi sfuggivano l’esatto contrario : provavano avversione e temevano l’assenza di forme e contorni certi e precisi, in una parola, temevano l’Infinito.

Il termine greco apeìron introdotto da Anassimandro, nel dialetto di Mileto, significa senza limite, indefinibile, complesso al di là di ogni ragionevolezza. Noi rendiamo l’apeiron greco con “Senza fine. Infinito”.
Pare che il termine derivi dalla tragedia greca ed indicava un costume teatrale molto ingombrante che aveva lo scopo di imprigionare e di impedire all’attore di muoversi agevolmente sulla scena.

L’apeiron, nella sua accezione più nota, fa riferimento anche al caos illimitato e privo di natura che precedeva la creazione. Praticamente si trattava di una specie di Vuoto o di Nulla senza alcun confine, distinzione, senza una qualità specifica e, come detto, inconcepibile per la mentalità greca perché avrebbe prodotto un Essere senza Forma (“L’essenza dell’Infinito è la privazione, non la perfezione ma l’assenza del limite” [Aristotele]).
“Infinito” quindi stava ad indicare caos e bruttezza : in questo risiede l’essenziale estetismo dell’intelletto greco.
Se c’è qualcuno che ha incarnato in modo esemplare - ed altrettanto crudele - tale intelletto, questi è Zenone d’Elea (ca. 490-435 a.C.) ; è Paul Valéry ad apostrofarlo crudele nella sua “Il Cimitero marino”

Zenone! Crudel Zenone! Zenone l’eleate
Con quella freccia alata m’hai trafitto
Che vibra vola e non si muove affatto
Il suon mi crea, m’uccide il dardo invece
Ah il sole la lenta ombra del lento carapace
Che pare ferma al senso d’Achille piè veloce.*
_____________________
*traduzione dell’autore

Si, vi ricordate? Qui si parla proprio di quei paradossi lì : il volo della freccia e la gara tra Achille e la tartaruga.
Poiché la metafisica di Zenone ha la sua base in un principio statico, i suoi paradossi sono conseguentemente diretti contro la realtà del movimento: la freccia che, seppur scoccata, non vola; il piè veloce Achille che non raggiunge la lenta tartaruga.
La modalità con la quale Zenone intende dimostrare la sua tesi è la cosiddetta dicotomia che funziona pressappoco così.
Ci troviamo alla sfilata del palio di Ferrara, intruppati con gli altri figuranti della nostra contrada. Il cerimoniere, alla Casa del Boia, indica che tocca a noi e iniziamo la nostra “salita” verso il castello Estense, cercando di percorrere Ercole I d’Este. “Cercando di” perché prima di arrivare al castello, dovremmo naturalmente arrivare a metà strada, diciamo al Palazzo dei Diamanti. E prima di arrivare a metà strada, dovremmo arrivare a metà strada rispetto alla metà (diciamo più o meno dalle parti della Certosa). E così via.
Per metterla in un modo più matematico, il paradosso è che il figurante non può spostarsi dalla Casa del Boia (diciamo il punto A) al Castello Estense (diciamo il punto B) senza attraversare tutti i semi-intervalli successivi di AB, vale a dire AB/2, AB/2/2= AB/2^2, AB/2/2/2=AB/2^3….AB/2/2/2…./2…= AB/2^n e così via continuando con i numeri interi perché, come si è già detto,

“Esiste sempre un numero intero maggiore di tutti gli altri”

Per essere ancora meno poetici e più matematici, l’intero n che compare nella espressione AB/2^n può assumere i valori 1,2,3,4,…e i puntini stanno a significare che la sequenza non ha un limite.
Oddio! Un orrido! Un Senza Fine!


Si tratta della temutissima regressus ad infinitum, la regressione all’infinito. Una catastrofe, letteralmente, la fine del mondo (per inciso : era proprio per scongiurare la caduta dell’astro che i templi greci venivano orientati nella direzione Est-Ovest : gli dei esigevano la nascita del nuovo giorno, di ogni nuovo giorno per n=1,2,3….).
Quello che rende orrida tale regressione è il fatto che viene richiesto di completare un numero infinito di azioni per raggiungere l’obiettivo ed essendo queste azioni infinite, per definizione, non è possibile completarle tutte : la freccia non vola, Achille non raggiunge la tartaruga e noi, figuranti della contrada, non riusciremo a rendere omaggio al Duca d’Este!
Ma come sa chiunque abbia passeggiato per Ercole I d’Este e non ha solo immaginato di farlo, ci deve essere qualcosa che non va nell’argomentazione del crudele Zenone.
Il problema è che la somma di infiniti sotto intervalli non è detto che sia infinita. Vogliamo dimostrarlo? Seguitemi.

Abbiamo diviso il percorso AB in tanti sotto intervalli del tipo AB/2^n, mettiamo insieme tutto e sommiamoli tra loro : iniziamo con i primi due tratti

AB/2 + AB/2 = AB

Ogni AB quindi può essere rimpiazzato da (AB/2+AB/2) e deve essere a sua volta diviso per due cioè

(AB/2+AB/2)/2 + (AB/2+AB/2)/2 =AB/4+AB/4 + AB/4 + AB/4 = AB


E così via, continuando, si avrà sempre più netta la convinzione che la somma, per quanto costituita da infiniti tratti, darà come risultato finale – e non poteva essere altrimenti – un numero finito, l’intero tratto AB : noi ci inchineremo davanti al Duca e Achille raggiungerà la tartaruga non fosse altro per vendicarsi di questa secolare presa per i fondelli (“Cantami o Diva del pelide Achille l’ira funesta contro una tartaruga di lui più lesta”).

La dicotomia quindi è in realtà solo un insidioso problema verbale e non un paradosso. Solo che questa risposta accontenta e probabilmente gratifica la logica, la nostra necessità di comprendere ma non esaurisce l’historìa : per fare questo abbiamo bisogno di qualcosa che è l’esatto contrario dell’infinito: lo zero.


3. La Polvere

Concetti molto
“diversi” hanno
la stessa radice

[J. L. Borges]


Ritorniamo per un attimo alla dicotomia.
Il modo standard di schematizzarla è il seguente :

1) Per attraversare l’intervallo AB dobbiamo prima attraversare tutti i sotto intervalli AB/2^n con n=1,2,3,….(ORRIDO!).
2) Vi è un numero sempre più numeroso di questi intervalli che, man mano si procede nella frammentazione, diventano punti.
3) E’ impossibile attraversare un numero infinito di punti in una quantità di tempo finita.
4) Ne discende, da un punto di vista logico, che è impossibile attraversare AB.

Come la cenere è ciò che resta dopo l’estinzione del fuoco, così i punti sono ciò che resta dal processo di frammentazione dell’intervallo AB. E tra i punti : nulla. Zero.
Così utilizzando l’apeiron, il senza limite, procedendo attraverso una ripetitiva frammentazione, il regressus ad infinitum, si perviene allo zero, un altro orrido della cultura greca.

Per i greci così come non era concepibile l’Infinito, altrettanto accadeva per lo Zero : un Senza Limite è un Senza Forma, quindi, Nulla.

Ricordiamo che lo zero fu “inventato” per puri scopi pratici ed attuariali intorno al 300 a.C. dai babilonesi cioè circa 200 anni dopo i fatti che abbiamo fin qui raccontato.
Si potrebbe quindi dire che i greci non disponevano della strumentazione concettuale per comprendere la convergenza, i limiti, l’Infinito ed il suo inverso, lo Zero.
L’orrido che essi provavano con questi concetti era quello scarto tra l’esistenza - percepita senza limiti e quindi in-comprensibile- e la propria identità - percepita come un granello di polvere e per questo altrettanto in-comprensibile-.
L’orrido è il simbolo della disperata ricerca di un senso che valga a saldare, in una visione coerente e confortante, la nostra umanità finita all’infinito orizzonte di potenziali esperienze; la vita con la morte.
In questa ricerca anche ciò che appare un’identità vuota e perduta, un misero agglomerato d’argilla, un granello di polvere, può essere l’occasione per una creazione o una resurrezione. E viceversa quello che appare una immensità ricca e disponibile, un Universo, può essere anche l’occasione per ricordarci il fango e la polvere di cui siamo fatti.
Una cosa è certa : l’Infinito è fatto di Polvere.
E non solo. L’Infinito viene dalla Polvere.

Nel libro di Giobbe polvere è tutto ciò da cui si sia ritirato il soffio divino e nei Salmi la polvere è sinonimo e figura della disperazione, della mancanza d’ispirazione, della disperante frantumazione, dispersione, molteplicità che sta all’opposto della Parola.
La Parola quindi ci viene in soccorso per sfuggire agli orridi! E c’è una parola che merita un’attenzione particolare e il significato che a questa le è stato attribuito.
Apeiron potrebbe significare, come abbiamo fin qui sostenuto, Senza Limite; questo se attribuiamo alla parola una provenienza attica.
Ma questa ipotesi non è la sola in campo.
Apeiron potrebbe derivare dal semitico àpar derivato a sua volta dall’accadico eperu e dal biblico àfar.
Afar nella Bibbia significa Fango. Argilla. Polvere.

Ora un oggetto qualunque come ad esempio un semplice segmento (o un pensiero) può essere creato o distrutto; in esso, cioè, sono contenuti sia Infinito che Polvere.
In tutti i casi, sia che si parli di sostanza o forma, di significato o significante, àpeiron dice e mostra Caos e Confusione.
Attraverso la matematica - il suo modo e il suo linguaggio - abbiamo sanato una contraddizione, un’ambiguità per la quale non sarebbe stato possibile sommare in un tempo finito, infiniti …granelli di polvere ( questi erano diventati i sotto intervalli nel processo di frammentazione proposto da Zenone).
L’escamotage matematico filosofico, però, sana solo apparentemente la catastrofe della regressione all’infinito e della comparsa del Nulla: in un certo qual modo soddisfa per così dire la logica. Ma noi siamo anche Spirito e Natura e proviamo paura, soccombiamo dinnanzi al “prima di tutto”, all’Infinito, e al “dopo tutto”, alla Polvere.

Solo la Poesia con il suo modo e il suo linguaggio, permette di rimettere a posto le cose, in modo da restituire lo splendore regnante - “le rose di luce”- ricomponendo senso e suono, contenuto e forma. Infinito e Polvere.

Solo la Poesia può sanare quegli orridi che nascono dalla durata di una riflessione e dall’acutezza di un pensiero analitico e ricomporre lo scarto tra l’essere e il conoscere.
Possono bastare poche strofe di Carla Baroni :

“Dall’argilla sei nato ed all’argilla
ritorni sempre con variate forme
per volontà divina nell’eterno”


E ancora

“Seduto al primo mare dell’ignoto
l’uomo non è che pianta col suo ciclo”


O può bastare un verso di Paul Valéry

“Il dono della vita è andato ai fiori”

O solo una parola e la vita/morte, infinito/polvere, che è in essa :

àpeiron.


Esiste un posto dove Infinito e Polvere coesistono e questo spiega perché è il “luogo” più cantato, più descritto e più studiato dall’umanità, dall’inizio dei tempi.
Nel cielo stellato, tra la polvere spruzzata nella volta celeste notturna, c’è l’archetipo del “prima di tutto” e del “dopo tutto”, è un grumo di atomi che viaggia per l’infinito spazio e l’infinito tempo.
Potrà essere ellittico, parabolico o iperbolico il suo viaggio, ma, puntuale, il suo ritorno, arriva.


Bibliografia

P. Valéry, Il Cimitero marino, Oscar Mondadori (1995)
J.L.Borges L’Invenzione della poesia.Lezioni Americane , Mondadori (2004)
D.F. Wallace Everything and More. A Compact History of ∞, W.W. Norton& Co. Inc NY (2003)
H. Melville, Clarel, Adelphi (1993)
G. Semerano, L’Infinito: un equivoco millenario, Bruno Mondadori (2005)
C. Baroni, Rose di Luce, Bastogi (2011)

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