sabato 4 giugno 2016

Il segreto di Dafne

Uno dei temi ricorrenti nella poesia di Carla Baroni è quello della “questione femminile”: non ho altri modi per indicare questa esigenza della poetessa ferrarese di sistemare nel Mondo e nel suo mondo la donna; sé stessa.
Non ricorro volutamente a termini quali “femminismo” o, meno che meno, “femminicidio” perché troppo contingenti riferibili come sono a un particolare periodo storico o alla più stretta attualità: Carla parla di ben altro, parla di Identità e lo fa in un modo, nella forma e nella sostanza poetica, così alto da nasconderlo.

IV

Qualcuno dice che anche noi nascemmo/dal verde di una pianta. Prima l’alga/ancora solitaria nel gran mare//…approdò a riva//… e lì si abbarbicò cercando luce/luce diversa da quella degli abissi.

La Natura ama nascondersi diceva Eraclito e la donna in quanto mater-colei che possiede un utero- depositaria, quindi, della continuità della vita, dall’origine dei tempi ha condotto una vita segreta quando non segregata. Questo è Il segreto di Dafne che è il titolo del prezioso poemetto di Carla Baroni (Blu di Prussia Editrice, Piacenza, 2015, con la prefazione di A. Quasimodo).

V

Le foglie non han voce. Solo il vento/ dà loro i suoni e le parole…//…Ed è silenzio allora tutt’intorno/solo talvolta lo stormire lieve/è un sussurrare al cielo una preghiera/


Gli uomini affrancati dal “dovere” di procreare hanno un rapporto con la Natura, per così dire, secondario e per questo hanno inventato quel teatro che possiamo chiamare di volta in volta Storia, Scienza, Tecnica, Economia, Politica dove mettono in scena sé stessi con le loro gesta e i propri trionfi decorati d’alloro.
Relegata nella sua natura e nella Natura, la donna invece ha occupato il posto che le veniva assegnato; altre volte sceglieva lei stessa di farsi da parte, sacrificandosi o, addirittura…facendosi da parte!

Il poemetto regala subito l’immagine di questa foresta e non possiamo fare a meno di riportare alla mente il bosco dantesco del XIII Canto dell’Inferno nel quale Dante chiede a Pier delle Vigne come le anime si trasformino in alberi e se alcuna di esse si divincoli mai da tale forma.
Anche Dafne, in fondo, potrebbe appartenere a questo bosco dei suicidi in quanto costretta dall’abuso di potere e dalla forza del dio Apollo a preferire una vita vegetale piuttosto che a cedere sé stessa, il suo corpo a chi voleva possederla contro la sua volontà.
Nel bosco dantesco ci sono anime che hanno rifiutato la loro condizione umana e per questo non sono degne di avere il loro corpo e trasformate, quindi, in una forma di vita inferiore come una pianta.
Ma qui nel poemetto di Carla tutto è rovesciato perché

XXII

…il grano ha tempi ben precisi, torna/dalle viscere sacre della terra/come uccello migrante al proprio nido/nell’orbita di un volo di speranza.

Tutto può ritornare in vita come la natura della donna ben sa: noi nasciamo ( o rinasciamo) dentro al buio sempre:

XXVIII

Uomo, animale, pianta che nel vento/getta i suoi semi a farne nuovi esseri/per quell’istinto di conservazione/che non ammette deroghe in natura

e la donna è pianta che da una sola foglia sa ricostruire fusto e gemme e questa coscienza di sé è così prepotente e dirompente da far dire a Carla:

XXXIII

Forse fui anch’io così. Mi ritrovai/foglia non più, ma completa pianta,/pianta robusta di corteccia antica/abituata ad affrontar tempeste.

In questa antimetamorfosi ovidiana appare dunque il tema che da sempre sta a cuore della poetessa, quello che all’inizio ho chiamato la questione femminile: il posto della donna nel mondo.

Il Poeta scrive perché qualcosa d’eterno lo muove e questa azione gli permette di conoscersi meglio perché nella poesia alta si toccano elementi sconosciuti alla coscienza. Man mano che si procede nel poemetto la donna/Dafne-Carla prende a poco a poco coscienza di disporre di un potere assoluto: il potere di vita o di morte simile al potere del dio o del re che da sempre sono i simboli del potere sociale, di quel potere in grado solo di ordinare, espressione di dominio e di violenza.
Ma questi due poteri, quello di vita o di morte della Donna e quello ordinatore dell’Uomo fin dalla notte dei tempi si fronteggiano e confliggono tra loro.
Carla ci racconta questo conflitto o si fa strumento di questo racconto.

In una società che è stata costruita ed è ancora ordinata dagli "dei", dai "re", da "uomini" prepotenti e violenti è la Poesia che può e deve dare voce alle dafne, alle madri, alle donne meno propense ad anteporre gli andamenti degli indici di borsa alle armonie di un suono e allo spettacolo di un cielo che muta sopra i rami.