martedì 1 maggio 2018

Come nasce un poeta

Avevo portato con me solo un libro da leggere durante il viaggio e lo avevo scelto con cura per due motivi: uno che conoscevo già, l’altro che avrei conosciuto solo al termine del mio soggiorno a Praga.
Questo il titolo del libro: Come nasce un poeta. Epistolario 1965-1982 [1].
A quei pochi affezionati lettori del Post delle Fragole dovrebbe essere ormai chiaro che quello dell’esperienza poetica - più della poesia criticata e della critica poetica - è il tema più ricercato e trattato su questo blog. Il libro curato da Federico Migliorati per la Minerva Soluzioni Editoriali di Bologna è il carteggio intercorso tra Roberto Pazzi e Vittorio Sereni, carteggio ritenuto dimezzato e perduto dall’autore, il ferrarese Pazzi, ma che è stato invece ricomposto nella sua unità temporale grazie al curatore e all’Archivio Sereni.
Così i pezzi di questa esperienza hanno trovato anche la loro unità spaziale.
Un libro che parla di “una” esperienza poetica, dunque, e che dovrebbe verosimilmente indugiare sull’urgenza di scrivere - imperiosamente avvertita da un giovane poeta – che, necessariamente, deve essere soddisfatta in un modo particolare.

Si può benissimo pensare che la magnificenza della vita sia pronta intorno a ognuno e in tutta la sua pienezza, ma velata, nel profondo, invisibile, lontanissima. È però non ostile, non riluttante, non sorda. Se la si chiama con la parola giusta, col nome giusto, viene”.[2]

Ho letto il libro , le lettere giovani, a tratti ingenue ma sempre riguardose di Roberto a Sereni e le risposte quiete, confortanti e comprensive di Sereni a Roberto e in un lampo (quei lampi che sempre sono piaciuti a Pazzi vedi la poesia Il bel ritorno a pg.170 del libro) ho avuto la prova di questa verità: la cultura è una collaborazione tra generazioni! Ma credo, e queste lettere lo dimostrano, anche una collaborazione tra anime che si mettono completamente a nudo. Quale è il miglior modo per farlo se non scrivere un diario, delle lettere o delle poesie?
Forme che rappresentano una sorta di harakiri di carta!
Oggi a quelle forme si sono sostituite le pagine facebook, le e-mail e i twitter. Riusciamo a trovare in questi nuovi strumenti altrettanta Solidità e Persuasione di questa?

“...ogni volta che mi sono trovato a parlare con Lei “qualcosa” accadeva (e non so cosa) per cui mi diventava difficilissimo parlare, dire il mio pensiero. Ogni volta c’è stato uno scarto (che mi ha fatto soffrire) fra quello che avrei voluto dirLe di me, dei miei problemi, della poesia, delle poesie che scrivo, e quello che le dicevo. Un senso d’imbarazzo, un dispetto per aver detto cose stupide più stupide di quelle (forse) che pensavo. E tutto si riduceva ogni volta alla fine a quell’argomento della pubblicazione, mentre - mi creda – non avrei voluto mai che fosse il solo argomento sostanziale dei nostri colloqui. Allora ogni volta mi dicevo: “Questa volta non sono riuscito a parlarGli, a comunicare con lui, ma la prossima sarà quella buona...” (corsivo mio; dalla lettera dell’agosto 1969, pg. 46).

Stupiscono di queste righe due cose, la prima: questa profondità della confessione del giovane poeta Pazzi, quel virgolettato di una lettera che, di per sé, è già un Tutto virgolettato, quasi fosse necessario ed urgente svelare quanto di più segreto ci fosse nel proprio animo (l’harakiri di carta!). E la seconda cosa che stupisce è quella forma di rispetto quasi religioso dello “Gli” che, pur riferendosi a un sé tra sé, s’erge al termine della parola “parlargli” come un’icona dinnanzi alla quale inginocchiarsi per pregare.
Forse qui tra queste forme, dubbi e certezze sospese comincia ad ardere l’esperienza poetica: in questa sorta di brodo primordiale, di punto singolare, di orizzonte degli eventi. Quasi si trovasse, l’esperienza poetica, in un Bardo dove la nostra anima sospesa, prima di reincarnarsi, si interroga sulla vita precedente per prepararsi a quella nuova.

Se la poesia come affermava Sereni ferma la verità di un attimo la Persuasione che avvertiamo in queste parole conferma e riafferma questa affermazione. Tutto il contrario di quello che accade con la Rettorica dei nostri nuovi strumenti di “comunicazione” che, pertanto, non sono in grado di af-fermare neanche un attimo di verità.
E passiamo ora alla seconda “ragione” per la quale avrei scelto questo libro da portare con me a Praga.
Questa mi si è rivelata in tutta la sua magnificenza nascosta tra le strade di questa citta, il suo Vicolo d’Oro e la mia memoria sopita: una lettera che Kafka scrisse alla sua amata Milena.
L’ho richiamata con la parola giusta ed è venuta.

E’ già tanto tempo che non Le scrivo, signora Milena, e anche oggi Le scrivo soltanto per caso: veramente non dovrei neanche scusarmi se non scrivo , Lei sa come odio le lettere. Tutta l’ infelicità della mia vita – e con ciò non voglio lagnarmi, ma soltanto fare una costatazione universalmente istruttiva – proviene, se vogliamo, dalle lettere o dalla possibilità di scrivere lettere. Gli uomini non mi hanno forse mai ingannato, le lettere invece sempre, e precisamente non quelle altrui, ma le mie. Nel caso mio si tratta di una disgrazia particolare, della quale non voglio dire altro, ma nello stesso tempo anche di una disgrazia generale.
La facilità di scrivere lettere – considerata puramente in teoria- deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. E’ infatti un contatto fra fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio, che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l’ una conferma l’ altra e ad essa può appellarsi per testimonianza. Come sarà nata mai l’ idea che gli uomini possano mettersi in contatto fra loro attraverso le lettere? A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane
…”[3]

La poesia ha le sue ragioni che la ragione non conosce e l’esperienza poetica è tutta qua o se volete qua:

Ferrara, 8 Novembre 1981
A Vittorio Sereni

Per otto anni il mio orologio
ritardava un minuto e mezzo
ogni sette giorni.
Poi una mano lo aprì, e ora
anticipa di un minuto e mezzo
ogni sette giorni.
Risanato cammino, operato
invece che al cuore al tempo.
È una convalescenza da tutti
i ritardi sommati nelle mie arterie,
gli antipodi forse camminano così.
È spostato l’asse celeste del
cervello, di qualche grado in meno
inclinato sul piano della morte,
gioca con orbite di stelle più lontane.
Per fare i conti di quanto
debbo restituire di anni rubati
scrivo queste operazioni.

Roberto Pazzi

È vero : a una creatura umana distante si può solo pensare mentre si può afferrare una creatura umana vicina; ma queste lettere dal passato tra Pazzi e Sereni non appaiono essere un contatto tra fantasmi. Tutt’altro.
Queste pagine di diari intimi, questi harakiri di carta, sono invece strumenti per reincarnarsi, sono parole che provengono dal Bardo delle anime sospese tra vecchie e nuove vite, sono voci che non lasciano nessun altra scelta che spegnere il computer e tornare ad abbracciarsi.

Riferimenti

[1] – Roberto Pazzi e Vittorio Sereni, Come nasce un poeta. Epistolario 1965-1982 a cura di Federico Migliorati, Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna (2018)
[2] – Franz Kafka, Confessioni e Diari, I Meridiani Mondadori, Milano (2013)
[3] – Franz Kafka, Lettere a Milena, Oscar Moderni Mondadori, Milano (2017)