lunedì 26 agosto 2024

Meditare sul nostro cromosoma celeste

Se volessimo azzardare una “concreta definizione” della poesia (che essendo fatta di “assenza” è pressocché indefinibile) potremmo accostarle il seguente termine: concentrazione. Proprio quello che la poeta Miriam Bruni usa nel titolo di una sua raccolta Concentrati sul cromosoma celeste (Controluna Edizioni, 2022).
Già perché la poesia è di per sé un concentrato a volte ristretto e raffinatissimo di …esperienze, emozioni, sentimenti, riflessioni, suoni, colori, visioni: un vero e proprio Universo da raccogliere in un centro mediante poche parole e tanto - tantissimo- silenzio, quello che il filosofo e musicologo francese di origine russe Vladimir Jankélévitch sosteneva essere l’origine, il mezzo e il fine della musica e della poesia. Estremizzando il ragionamento, la poesia dunque altro non è che un concentrato di silenzi, di cose non dette. Cose che, però, seppur taciute, si fanno sentire e Miriam Bruni ce le fa sicuramente sentire. Nel caso di Miriam, però, si deve parlare non già di una concentrazione intesa nel modo che abbiamo appena definito quanto di un invito , una esortazione alla concentrazione intesa nel suo reale e regale significato di fissare la mente su un oggetto particolare. In ciò avvertiamo che questo esercizio sia un passo preliminare e imprescindibile alla meditazione e alla contemplazione. È il conoscere che cerco./Non l’accumularsi/di piaceri o distrazioni/in piacevoli serate./ Occorre nei prati/nascondersi davvero/se vogliamo che il prato/riveli il suo tesoro./Occorre a lungo in Cielo/lasciarsi seppellire/se del cielo intendiamo/sensatamente parlare./ [da Concentrati sul cromosoma celeste, pg.15] Concentrazione, meditazione e contemplazione sembrano essere le tre fasi della pratica poetica di Miriam Bruni che a questo punto si manifesta con un poiein specifico: una pratica spirituale. Generalmente si pensa che la concentrazione sia un grande esercizio di attenzione ma essa costituisce soltanto il primo passo di una pratica spirituale essendo appunto gli altri, meditazione e contemplazione, veri e propri successivi stadi di avanzamento. Per cui concentrare in (e con) poche parole…tantissimi silenzi; organizzare nell’universo Vuoto (del foglio bianco) un piccolo big bang; fissare la mente sul cromosoma celeste, rappresentano solo il primo passo. L’espansione non può che aprirci tutti alla meditazione su questo universo e alla inevitabile contemplazione (Da dove? Chi? Perché? Quale “verso”?) Quando si raggiungono gli stadi successivi, non c'è possibilità di vacillare e la fede per la poesia di Miriam diventa stabile. Nella nostra società contemporanea innervata in tutte le manifestazioni da un onnipresente principio di prestazione la poesia di Miriam rappresenta una sorta di balsamo lenitivo che restituisce all’inazione, alla contemplazione e all’ Ascolto un ruolo essenziale per l’esistenza: solo il silenzio permette di tendere l’orecchio al mondo e solo l’ascolto può condurre all’esperienza vera, alla comprensione profonda del nostro cromosoma celeste. A chi mi dice/di alzare la voce/e impormi, rispondo:/”non urlano le creature,/eppure stanno liete./Con quanta luce e buio/ non sapete; se con lana/ o seta, spago grezzo,/insanguinato, io genero/e dal mio stelo stacco/ciò che disvelo e offro./In un’Ostia sottile/ e leggera Lui si cela./E di noi conserva tutto,/il Padre in cui confido,/più di me che talvolta/ li butto - i disegni -/ e distratta giaccio.”

domenica 11 agosto 2024

La Storia dei Padri e la natura dei lupi

La poesia quando e' autentica ci permette di ricordare la nostra (autentica) natura contrariamente a quanto ci viene ricordato da quella massima di Plauto (banalmente se non strumentalmente ) ripresa da Hobbes:l'uomo e' un lupo per l'uomo;dunque,anche per se' stesso! E' questa una massima alla quale abbiamo dato corso nella "nostra" storia-fino a quella personale- nella desolante ignoranza della natura, ripeto:autentica, degli uomini e dei lupi. I poeti, per fortuna,nascono per restituire la natura agli uomini e ai lupi. In effetti noi esseri umani nel corso della nostra storia, ubriachi d'astrazione, abbiamo dato corda a questa infame formula, ignorando la nostra ignoranza sulla nostra preistoria, sulle scienze della vita e soprattutto sull'etologia che ha dimostrato che la lupa alleva i lupacchiotti con una tenerezza senza pari e che il vecchio capobranco lascia la terra ai giovani: il branco, cioe', sembra seguire le leggi dei padri e si organizza secondo quelle in modo piu' razionale diHomo che e' lupo per l'uomo! Letta come prova di barbarie e crudelta', questa formula pare ignorare che, a tal proposito, gli individui ignoranti della nostra specie sono stati largamente anticipati dai cacciatori, dagli agricoltori e soprattutto dai poeti e di sicuro uno di questi e' Marco Mittica, una sorta di antenato contemporaneo che scrive di Storia della preistoria partendo (paradossalmente) dalla caduta di un impero o una sorta di cronista anacronistico che parla biologico di piccole apocalissi private. Nella sua raffinata raccolta La Legge dei Padri (RP Libri, 2023 con l'Introduzine essenziale di Antonio Bux e l'illuminante Postfazione di Biagio Russo), Marco Mittica usa ( o forse viene uasato perche' poeta) in modo esemplare l'inversione figura-sfondo per nascondere esperienze personali sullo sfondo di un campo di guerra rumoroso che rimanda a gigantesche stori e figure di barbari, chiese, imperatori e conquistatori a terre antiche e lontane e alle prime acerbe universita' delle conoscenze.
Marco Mittica usa la Storia quale pretesto per parlare di DNA e di quelle "mutazioni di private sequenze" quasi volesse spostare l'attenzione dal cuore al cervello, dallo spitito al corpo, dall'individuo alla specie (quante inversioni figura-sfondo!). Pero'.Pero'... Se gli occhi diventano lucidi; se alla gola sale un groppo; se il respiro s'inceppa su un verso senza alcuna "ragione ritmica", allora siamo davanti alla meraviglia, sfondo di qualunque conoscenza; siamo cioe' in presenza dell'arbitro assoluto della percezione umana quella che trasforma Homoin ...umanita', quella che trasforma lo storico, lo scienziato, il contadino o l'imbianchino in ...poeta. Ed e' in questo senso effettivo che l'uomo e' un lupo per l'uomo o, se preferite, l'uomo e' un poeta per l'uomo. Anche perche',come ha piu' volte ricordato Michel Serres, le statistiche meglio documentate dimostrano che la maggioranza degli esseri umani pratica la solidarieta' empatica (siete mai stati in un paesino della Val d'Agri dove "si risorge tra raffiche di grandine nel mese di giugno"?) piu' di quanto non si dedichi alla concorrenza o al saccheggio come la Storia, i TG e i social vogliono farci credere. I poeti come Marco Mittica ci aiutano cosi' ad ...amarsi-amare, a ripristinare cioe' una semplice verita': molti di noi sono buoni e pochi sono i malvagi. Ne' dappertutto, ne' sempre. Tutti rischiamo come individui e come specie, una volta o l'altra, una piccola-grande apocalisse/Apocalisse ma proprio per questo il Poeta canta: per ricordarci che alle catastrofi, la vita, sopravvive sempre.

martedì 9 aprile 2024

Partiamo da qui

Sia dal punto di vista formale che da quello tematico, Partire da qui - la raccolta poetica di Stefano Modeo appena pubblicata da Interno Poesia - si misura con un tema cruciale per i poeti: la partenza, l’esilio, il viaggio. La vera dimensione poetica, dai tempi di Odisseo, risiede in questi “transiti” variamente declinati.
Partire da qui è un’evocazione di inizi cioè di quei momenti embrionali e …partorienti che hanno a che fare con l’origine di “qualcosa”: l’inizio, come si sa, è il luogo letterario per eccellenza che segna un confine, ovvero una vera e propria separazione, tra il mondo e l’opera. Per il poeta, l’inizio- da intendersi come “da questo momento-luogo in poi-oltre” - stabilisce un confine fra la molteplicità di “molti possibili” (mondi, viaggi, volti, sfondi, parole,…) e l’emergenza di “un probabile” (mare, percorso, amore, figura, senso…). Ed è proprio di tutti gli inizi evocare presupposti, e Stefano Modeo, ancor prima della prima poesia - nell’ esergo epigrafico - lo fa tornando e lasciando, contemporaneamente e ancora una volta, Taranto, quasi continuasse a sentirsi insieme sepolto e risorto in mare e sulla terra! La partenza è sempre un posizionamento all’interno di un ordine o di un caos - l’un probabile di cui sopra - ma è anche definizione di una prospettiva magari da condividere con i “molti possibili” dei lettori. Così ”Lungo la linea dei due mari…” Taranto, è vero, “…si arrocca in una nuvolaglia grigio-scura”, ma “I delfini a volte arrivano fino alle boe/sotto i piloni, dove il sole/fa il cielo arancione”. Per il tramite di queste immagini l’attenzione, inevitabilmente, oscilla tra il luogo privilegiato delle partenze, il porto delle prue e degli approdi, e quello quasi onirico delle …restanze, la città dei risentimenti delle case, delle strade. E possiamo giustamente dire che, già da qui, dalla prima poesia della raccolta, siamo in viaggio e che già da qui, come nella migliore delle tradizioni letterarie, l'inizio è memorabile perché il poeta sa che non esiste arrivo, approdo, conclusione. Fine. Nella poesia c’è sempre un “verso” in più, quello del lettore e l’efficacia di questo “verso silenzioso” è tanto maggiore quanto più chiara è la ripercussione retrospettiva, quella vaga risonanza che investe di nuova luce tutto ciò che precede. Detto in altri termini l’efficacia della buona poesia è quella sensazione di… ordine e compiutezza data dal fatto di avere lì a disposizione tutti i versi da poter rileggere, tutte le immagini da poter rivedere, i suoni e gli altri dettagli persi da ricercare. L’efficacia di quella partenza è la voglia di …tornare. Così succede che quei Due mari (pg.11) ci permetteranno di compiere questo viaggio a ritroso perché Dal vagone del treno (pg.76) sul quale siamo saliti ci è sfuggito quel …confine segnato dalle punte degli scogli. E partiamo da qui: sarà un bel viaggio.