lunedì 15 aprile 2019

La capacità della poesia: la prosoché

Nello stesso momento in cui la radiazione partita 55 milioni di anni fa dalla galassia M87 in Virgo A arrivava qui sulla Terra , è uscita l’ultima raccolta poetica di Angelo Andreotti: L’attenzione, per i tipi di Puntoeacapo, con una curatissima prefazione di Antonio Prete.

A onor del vero, l’arrivo vero e proprio nelle librerie terrestri della raccolta di Andreotti, è previsto per il prossimo mese di maggio, ma questo è un post relativistico e sono ammesse distorsioni spazio-temporali come quelle che accadono (accadrebbero) sull’orizzonte degli eventi del Buco Nero al centro di M87.

Nulla di anomalo e misterioso dunque sul fatto che si possa parlare di un libro che non è ancora disponibile!
Fortunatamente qualche anticipazione sulla raccolta è già fruibile in rete (www.ferraraitalia.com) e così, grazie a questo breve ascolto, è possibile farsi un’idea del canto o, meglio, come spiegheremo: da questo breve canto è possibile farsi un’idea dell’ascolto.

Ho sempre pensato che quella di Andreotti fosse una poesia di ...confine, una poesia fatta da (per/su) un punto d'osservazione speciale; un orizzonte che separa e, contemporaneamente, salda un mondo ad un altro, uno esterno ad un interno. Essere osservatori e osservati su questa superficie o, solamente, accogliere ciò che viene osservato ( ovvero si lascia osservare), richiede una particolare predisposizione, una capacità, se non una vera e propria saggezza come quella che gli stoici - e successivamente i buddhisti fino ad arrivare agli scienziati moderni senza distinzioni tra fisici, biologi e neurofisiologi – hanno chiamato prosoché (attenzione).

Su questa superficie infatti l’ascolto è molto complicato per via dell’ammaliante voce di sirene antiche e nuove. Rilevare l’ascoltato per renderlo canto è dunque operazione difficilissima quasi quanto quella di catturare la “foto” di un buco nero distante 55 milioni di ANNI-luce.

A proposito della foto (che propriamente foto non è): questa - chiamiamola più propriamente - elaborazione di un buco nero non è niente altro che una traduzione di segnali radio in segnali visivi, una traduzione analoga dunque a quella che tenta di fare un poeta.
Il poeta di fatto traduce un debole segnale - qualcosa che dunque rileva con difficoltà- in un vero e proprio segno, in una visione, in una immagine.
Il grande compito della Poesia è proprio questo, tentare l’impossibile: far coincidere il Sentito con il Canto!
E per arrivare a questo ci vuole una…attenzione stoica.

Non è tardi
Nel declino di un mondo inguantato
la nudità del corpo ti protegge,
quel suo sentire, quel tuo aspro tremore
che tu credi di ignorare
mentre sprofondi dentro a quello sguardo,
silenziosissimo, che hanno gli uccisi.

L’immagine del mondo inguantato ci apre subito a questo sentire del poeta, alla necessaria separazione/riparazione di due mondi reciprocamente separati e protetti da una superficie: il poeta , oggi, si trova su questa particolare linea di demarcazione tra Natura e Storia. E qui con il termine Natura intendiamo tutto ciò che da essa abbiamo imparato tanto da integrare al suo interno, in modo continuo, la comparsa e l’evoluzione della nostra specie fino alla singola vita del singolo individuo (diciamo Einstein).
Ed evidentemente quindi per Storia non possiamo che intendere ( e comprendere), oltre ai fatti riguardanti l’evoluzione delle società umane, anche la singola biografia di uno scienziato come Einstein che ha contribuito alla conoscenza della Natura compresa quella propria, umana.
Questa reciproca penetrazione può essere ben rappresentata dalle nuove relazioni (non più lineari, determinate e continue) esistenti tra i concetti di spazio e tempo e quelli di causa ed effetto.

La inerme nudità che paradossalmente protegge questo sentire non è più un’attenzione di tipo razionale, non è cosa materiale (il guanto) ma è proprio quell’aspro tremore dal quale l’uomo è posseduto allorché rinuncia a(l) sé, o meglio recupera tutto sé e per questo fa poesia: per questo si è fatto poeta.

Qui mi pare di intravvedere una nota mistica, in quanto, davvero, sprofondare dentro a quello sguardo silenziosissimo ricorda l’attenzione che il Poeta riesce a prestare al segnale. Ma allo stesso tempo rimanda a quella sua innata necessità di rispondere al segnale con un canto altrettanto silenzioso, un discorso interiore configurabile in una vera e propria… preghiera (proseuché).

È in questa sospensione di giudizio e incredulità che nasce la Poesia.

Resta che quando un ascoltato così profondo si fa canto e con esso coincide, quel segnale lontanissimo, confuso, disturbato e silenzioso, partito da chissà dove, da chissà quanto tempo, si concretizza in un verso netto, chiaro ed evidente se non proprio in una parola che si fa sentire nel suo splendore.

Il fulcro
Più lontano di tutto è l’orizzonte,
non i pianeti, né il fondo del mare,
ma quell’irraggiungibile e sfuggente
assedio dello sguardo dove il tempo
si rivolta in se stesso, si pietrifica
pur di non misurare le distanze.
Ma chi dall’orizzonte si avvicina
non conosce confini, né se il tempo
ha per misura un passo dopo l’altro,
soltanto
sa che alla terra si appoggia il suo cielo
e che il confine è un bottino di guerra.
Più lontano di tutto ci sei tu,
talmente inerte che dell’orizzonte
sei punta di compasso dentro a un cerchio
che ha mura d’aria ottuse come specchi.


E non è forse qui, non è forse questa la migliore definizione - veramente LA foto migliore - di un orizzonte degli eventi? Quell’irraggiungibile e sfuggente assedio dello sguardo dove il tempo si rivolta in se stesso, si pietrifica pur di non misurare le distanze?
Andreotti ha questa capacità: in un mondo in cui la Natura si fa Storia (ovvero la biografia si fa conoscenza) lui si pone sull’orizzonte degli eventi su quella superficie di demarcazione da dove invia fedelmente sempre lo stesso identico segnale con il ritmo e il verso giusto.

Sull’orizzonte degli eventi infatti il tempo si rivolta in se stesso e si pietrifica in un spazio pieno-vuoto fino a non essere più… misurabile. Ma questo è un problema per chi sta fuori, all’esterno di questa superficie che separa luce da buio. Spazio da tempo. Causa da effetto.

Il poeta che è invece lì su quell’orizzonte, grazie alla sua particolare posizione e attenzione riesce ad …ascoltare i segnali più deboli e a trasformarli in immagini nitide, assolute quasi miracolose. Lì, per lui, il tempo e lo spazio restano misurabili dal ritmo della sua poesia ed è convinto che con il …passare del tempo qualcuno dall’altra parte del … cerchio che ha mura d’aria ottuse come specchi, riceverà il messaggio.

E arriverà, non a tutti contemporaneamente, ma certamente quel messaggio arriverà come un suono partito da così lontano prima ancora che si potesse ascoltare o vedere.

Come questo post relativistico: letto prima che venisse scritto.

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