giovedì 20 dicembre 2018

Un tuffo e una nuotata: Osip Mandel’štam e Nadežda Chazina

La cosa migliore da fare per gustare la Poesia è sguazzarci dentro. Sì, perché leggere Poesia è come tuffarsi. Per farlo bene bisogna allenarsi e prepararsi…all’acqua che stiamo per raggiungere. Dunque tuffarsi.
La prima volta.
Poi, risaliti in superficie per prendere fiato, bisogna cominciare a nuotare: per raggiungere un orizzonte, una baia appartata, una costa oppure si nuota tanto per fare, senza l’assillo di dovere approdare da qualche parte.
Quando si legge qualunque altra cosa, si nuota per tornare sulla spiaggia e abbrustolirsi al sole e stop.
Per leggere Poesia, invece, c’è questo piccolo, ma mai banale, preliminare: il tuffo. E questo si fa da soli.
Ma appena riemersi, trovare per compagnia un altro poeta da seguire nelle sue calme e filanti bracciate, può essere di estremo aiuto: per accordare un passo, il fiato, lo sguardo tra alto e basso. Tra orizzonte e profondità. Il compagno o i compagni di bracciata potrebbero portarci molto lontano e raggiungere…profondità d’orizzonti altrimenti irraggiungibili anche per il nostro tuffo migliore.
Il 27 Dicembre di 80 anni fa moriva Osip Mandel’štam, il Poeta della Poesia come lo hanno definito in molti. Mi sono tuffato nelle sue poesie cercando di mantenere una postura consona per riuscire ad entrare in acqua nel modo meno rumoroso e caotico possibile. È stato un tuffo profondo, lungo estenuante e così appagante che ritornato in superficie ho trovato la moglie del poeta Nadežda (Speranza in Russo) Chazina e ben altri due poeti ad aspettarmi per la nuotata seguente: Seamus Heaney e Franco Buffoni.

Iniziamo.

Il tuffo dunque [1]:

Amo l’apparizione del tessuto
quando una, due, più volte
manca il fiato e infine arriva
il sospiro che risana.

E tracciando verdi forme,
quasi archi di vele in regata
gioca lo spazio assonnato,
bambino ignaro della culla


Novembre 1933-giugno 1935

La cosa che balza subito agli occhi in questo tuffo è… il fondale: Novembre 1933 - giugno 1935, quasi due anni per sistemare 29 parole in lingua originale (38 in questa superba traduzione di Serena Vitale). Già: un lasso di tempo così ampio sarà, presumibilmente, dipeso da un lavoro estenuante di labor limae del poeta o, più verosimilmente, da uno stesso lavoro della vita sul poeta.
La prima quartina parla della nascita dei versi. La comparsa di parole nei versi e dei versi nelle strofe è di fatto una conoscenza dello spazio (rappresentato dalla pagina bianca); una esplorazione del mondo attraverso la poesia che, come dice Brodskij, è conoscenza tanto analitica che sintetica e profetica. E la scoperta della ritmicità del mondo (non dimentichiamo che ritmo discende dal fonema sanscrito Ṛta , muoversi in modo appropriato) è, parimenti, scoperta del verso e della strofa: corrispondences tutte racchiuse nell’ immagine di una barca a vela che segue il vento, e ne è inseguita, nel suo bordeggio.
E a un bordeggio, a un’onda dunque, s’accorda un battito e un respiro che ri-sana ma che pure ri-suona ossessivamente prima che il fiato diventi parola e che riesca a riunire tutto con/nella Poesia.

Nulla procede linearmente ne processi “naturali”, tutto si svolge per archi, cerchi, spirali centripete o centrifughe. Cicli e rotte omeriche percorse avanti e indietro più e più volte fino a riconoscere punti dell’orizzonte dove il sole sorge o tramonta e stelle che guidano le notti. La Poesia è prima di tutto conoscenza di spazio e di tempo. Più fisica di questa!

Ritorniamo su a prendere fiato e incontriamo gli amici che ci accompagneranno nella nuotata.
Franco Buffoni nel rendere omaggio a Seamus Heaney traduce un saggio del poeta Irlandese su Osip Mandel’štam e sua moglie Nadežda . L’omaggio di un omaggio dunque. Cominciate ad avvertire il passo delle bracciate? Capite chi saranno i nostri amici di nuotata? Siete curiosi di sapere dove ci porteranno? Andiamo allora, bracciata dopo bracciata.

Tra il 1930 e il 1934 Osip Mandel’štam fu tenuto confinato nel gulag di Voronez. Il motivo apparente della condanna ai lavori forzati sembrerebbe essere stato uno schiaffo che Mandel’štam restituì al romanziere Sargidzan il quale aveva precedentemente schiaffeggiato la moglie del poeta. Ma la vera causa del confino risiedeva nell’atteggiamento di un… Davide, grande poeta, contro un Golia con i baffi e gli stivali lucidi.
All’epoca degli schiaffi i Mandel’štam “godevano” già delle attenzioni della polizia e degli informatori di partito, tanto che le autorità sovietiche avevano incaricato proprio il romanziere Sargidizan e sua moglie di spiarli nel condominio dove abitavano. Il vicinato, evidentemente, non era dei migliori e in una di queste liti Sargidizan colpì duramente la moglie di Osip. La denuncia e il processo farsa che ne seguì stabilirono che si era trattato di un caso frutto del «retaggio di un sistema borghese e che, dunque, erano da biasimare entrambe le parti». Ai disordini che seguirono la sentenza uno dei giudici del popolo, Alekesej Tolstoj, tentò di difendersi gridando: «Lasciatemi stare, lasciatemi stare. Non potevo farci niente! Avevamo degli ordini.»

Due anni dopo Osip restituì lo schiaffo. Per dirla con Nadežda, il poeta pensava che «l’uomo non avrebbe dovuto ubbidire agli ordini. Non quegli ordini. E questo è tutto.»

Naturalmente, questo è ben lungi dall’essere tutto. Lo schiaffo fu un segno visibile di una grazia interiore che a Mandel’štam era ritornata a metà del 1930, quando fece il viaggio in Armenia. Nel corso dei suoi spostamenti laggiù, si ristabilì in lui il senso di essere nel giusto, quella libertà interiore senza la quale non riusciva a chiamare a sé la poesia, e si ruppe il silenzio poetico durato cinque anni. Insieme alla poesia arrivò la capacità di non ubbidire agli ordini, e, parrebbe, quasi per provare a se stesso che quella capacità era incondizionata, Mandel’štam scrisse poi il componimento, per lui atipicamente esplicito e «politico», contro Stalin, Il monastero del Cremlino. In realtà, fu questa poesia la vera causa del primo arresto di Mandel’štam uno o due giorni dopo l’incidente dello schiaffo: Davide aveva affrontato Golia con otto distici di pietra nella fionda.[3]

La storia degli ultimi anni di vita del poeta, della sua morte avvenuta il 27 Dicembre del 1938 (lo stesso anno nel quale in Italia venivano promulgate le leggi razziali) e le vicende rocambolesche di come le sue poesie del periodo sono riuscite ad arrivare fino a noi sono state raccontate da sua moglie e composta ed elegante “tuffatrice”, Nadežda.

Come ci dicono Heaney e Buffoni : «Alla fine degli anni Sessanta del Novecento furono scritti due libri tra i più fortificanti dei nostri tempi, Hope against Hope (Speranza contro Speranza) e Hope abandoned (Speranza abbandonata) di Nadežda Mandel’štam (con l’evidente gioco di parole per via del suo nome…). In questi libri [4,5]abbiamo uno sconvolgente atto d’accusa contro quasi tutto ciò che accadde nella Russia postrivoluzionaria e, più relativamente, la storia dell’esilio di Mandel’štam a Voronez, il suo ritorno a Mosca nel 1937, il nuovo arresto e la deportazione in un campo di lavoro: «Il mio primo libro fu Pietra e anche l’ultimo sarà pietra.» Morì poco prima del quarantottesimo compleanno in un campo di transito vicino a Vladivostok, dopo aver percorso le cinquemila e cinquecento miglia da Mosca viaggiando su un treno per il trasporto di prigionieri. La causa ufficiale della morte fu «collasso cardiaco»[3]

[…]Per il lettore sovietico, Mandel’štam come poeta era finito dopo l’apparizione di tre libri che nel 1928 segnarono il culmine della sua carriera pubblica di scrittore: le Poesie, un volume contenente Il rumore del tempo, il resoconto autobiografico dell’infanzia a Pietroburgo, e il brano dal titolo romanzesco Il francobollo egiziano. Ma a Voronez i Mandel’štam riempirono tre quaderni con l’opera successiva.
Scrive Nadežda:

Mi hanno chiesto spesso dell’origine di questi «Quaderni». Era questo il nome che usavamo per riferirci a tutte le poesie composte tra il 1930 e il 1937, che a Voronez ricopiammo su normali quaderni scolastici (non riuscimmo mai a ottenere carta decente e perfino procurarsi questi quaderni era difficile). Il primo gruppo andò a formare ciò che ora si chiama il «Primo quaderno di Voronez» [nuovo lavoro svolto in esilio, a quanto pare], e poi tutti i versi composti tra il 1930 e il 1934, che erano stati sequestrati durante la perquisizione del nostro appartamento, furono ricopiati in un secondo quaderno (…). Nell’autunno del 1936, quando si erano accumulate delle altre poesie, M. mi chiese di procurarmi un nuovo quaderno.[3]

Nel terzo capitolo di Hope abandoned, Nadežda afferma implicitamente l’importanza… dell’amicizia con poeti quali Nikolaj Gumilëv e Anna Achmatova. Il capitolo è sul nutrimento morale e artistico che può scendere su una comunità di spiriti che abbiano «pieno diritto di riferirsi a se stessi come “noi”»:

Sono assolutamente convinta che senza questo «noi», non possa esserci un compimento adeguato neanche del più comune «io», ossia della personalità. Per trovare il proprio compimento, l’«io» necessita di almeno due dimensioni complementari: «noi» e – se è fortunato – «tu». Penso che M. sia stato fortunato ad aver avuto un momento nella vita in cui era unito dal pronome «noi» a un gruppo di altri.»

Come si intuisce non è possibile smettere di nuotare: vediamo sempre un orizzonte più accattivante davanti alle nostre bracciate e, se non è l’orizzonte ad attrarci, lo farà la profondità del fondale o la vastità della luce sopra di noi. Quando si nuota con questa compagnia non si ha voglia di fermarsi, di tornare a riva.
E allora per concludere questo post commemorativo che non porta a nessun…posto delle fragole - perché è il POSTO - non possiamo che ringraziare i nostri compagni di nuotata e chiedere al Poeta della Poesia di accompagnare le nostre bracciate con qualcuna delle sue ultime parole:

E dallo spazio esco nel giardino
incolto delle grandezze,
strappo l’immaginaria costanza,
l’autoconsenso delle cause.

E il tuo manuale, infinità, io leggo
da solo, lontano dagli uomini:
selvaggio erbario senza foglie
libro di problemi delle radici enormi.






Riferimenti
[1] - Osip Ėmil'evič Mandel'štam, Quasi leggera morte. Ottave, a cura di Serena Vitale, Adelphi, 2017
[2] - Franco Buffoni in Almanacco dello Specchio n. 14 Mondadori, 1993
[3] - http://www.nuoviargomenti.net/poesie/seamus-heaney-su-osip-e-nadezda-mandelstam/
[4] - Nadežda J. C. Mandel'štam, L'epoca e i lupi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1971
[5] - Nadežda J. C. Mandel'štam, Le mie memorie, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1972

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