domenica 25 giugno 2017

Caproni! Chi era costui?

No! Il Post non risponderà a questa domanda, perché l’analisi di una poesia non presuppone la conoscenza dell’autore (che potrebbe essere sufficientemente soddisfatta da una breve nota biografica).
Quello che sto per scrivere contiene implicitamente una difesa d’ufficio del Ministero ( e del Ministro) dell’Istruzione sulla scelta dell'argomento per l’esame di stato di quest'anno e in modo più esplicito alcune note sulla poesia di Caproni.

Come si sa – è notizia ancora rintracciabile su twitter - una delle tracce proposte agli studenti per la prima prova d’esame è stata:

Giorgio Caproni, Versicoli quasi ecologici, in Res amissa.

Tratto da L’opera in versi, a cura di Luca Zuliani, Mondadori - I Meridiani, Milano 1998

Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.


Ecco cosa si chiedeva agli studenti:

1. Comprensione del testo
Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo della lirica.
2. Analisi del testo
2.1. Il componimento fa parte di una raccolta di versi dal titolo latino Res amissa (“Cosa perduta”). In che modo il contenuto della poesia proposta può essere collegato con il titolo della raccolta?
2.2. La poesia è composta da un’unica strofa, ma può essere idealmente divisa in due parti. Quali? Qual è la funzione di ciascuna delle due parti?
2.3. Individua nella lirica i verbi che rappresentano le azioni dell’uomo nei confronti della natura, che il poeta vuole contrastare. Quale atteggiamento e quale considerazione della natura da parte dell’uomo emergono da queste azioni?
2.4. Il poeta fa riferimento a una motivazione che spinge l’uomo ad agire contro la natura: quale?
2.5. Dalla lirica emerge un atteggiamento critico del poeta verso la società moderna, che spesso premia chi compie delle azioni irrispettose verso la natura. In quali versi, in particolare, è evidente questa critica?
2.6. L’uomo ha bisogno della natura per sopravvivere, ma la natura non ha bisogno dell’uomo: individua nella lirica i punti in cui emerge questa convinzione.
2.7. Nell’ultima parte della poesia, come viene definito il mondo deturpato dall’uomo? Qual è il sentimento di “chi resta”?
2.8. Soffermati sulle scelte stilistiche dell’autore. I versi sono tutti della stessa misura? Riconosci qualche enjambement? Segnala le vere e proprie rime e le assonanze o consonanze.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
Al centro della lirica vi è il tema del rapporto fra uomo e natura. Sulla base dell’analisi condotta, proponi un’interpretazione complessiva della poesia, facendo riferimento anche ad altri testi letterari in cui è presente questo tema. Puoi arricchire l’interpretazione della poesia con tue considerazioni personali.


Ho riportato interamente le richieste della traccia anche per riassaporare le atmosfere dei nostri passati e in alcuni casi dimenticati esami di stato ma l'ho fatto soprattutto per sottolineare come sia facile dimenticare le cose più importanti della vita, quelle per intenderci che fanno vivere: gli esami di stato tanto quanto la Terra che ci sostiene tutti.

Chi conosce questo blog sa già che mi ripeterò ma questa è proprio la natura della poesia e del poeta: la poesia non è quello che Joyce diceva della vita (La vita è come un'eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii ).
Il poeta (la poesia) invece fa proprio questo: manda sempre e soltanto lo stesso segnale come fa un radar o un sonar: dall’eco di ritorno sarà possibile comprende come sia cambiato il profilo del paesaggio circostante, la profondità dei fondali.
E la ripetizione “questa volta” ,e per quanto mi riguarda, è la seguente: il poeta come un uccello si (ri)conosce dal canto ; la sua biografia per certi versi è identica a quella di altri poeti. La cosa veramente importante è il canto che emette e dunque, il segnale e l’eco di risposta.
Caproni nella sua poesia ha sempre privilegiato i valori fonici e formali che consentono alla parola di assumere moltissimi significati che egli stesso definì armonici. La rima pertanto assume questo ulteriore compito di risonanza, quasi realmente si trattasse dell’eco della parola emessa che non ne restituisce il significato originale ma lo distorce e trasforma. E così accade per le assonanze e le consonanze (vento, lamento, canto, lamentino, pino; cavaliere, lavoro, amore, muore; foresta, resta guasto, vasto, scomparso).

Tutto questo però non finisce per trasformarsi in un freddo estetismo (classicheggiante) perché il ritmo cadenzato, sempre molto rarefatto della melodia, viene trasfigurato da una precisa ricerca metrica.
L'ottonario è stato definito "il verso più appiccicoso della lingua italiana", perché la sua accentazione rimane molto impressa e risulta sempre cantilenante. Infatti è molto usato nelle filastrocche e nelle barre rap.
È stato largamente utilizzato anche nei libretti d'opera, soprattutto per i momenti cantabili del MELODRAMMA dell'Ottocento (ad esempio Casta Diva, che inargenti della Norma).
E qui si rappresenta un vero melodramma: a dispetto del suo lavoro artigianale, attento e amorevole nell’armonizzare versi , nella tornitura preziosa di tutta la strofa e nella raccolta di risonanze risentite e aggrondate, il poeta percepisce dalla Sua Eco una tremenda verità apocalittica: la terra può tornare bella solo con la scomparsa dell’uomo.

C’è però un’altra precisazione da fare nel caso di Caproni e del suo sonar o radar che dir si voglia. Come dice perfettamente Agamben, che ha curato e prefato l’edizione di Res amissa, esistono due tipiche figure di poeti: da una parte quella del poeta romantico per il quale la vita stessa deve trasformarsi senza soluzione di continuità in poesia; dall’altra quella per così dire del profeta del “classicismo olimpico e del laicismo” per il quale arte e vita sono separate in ogni punto tanto che la poesia si riduce inevitabilmente ad una tecnica o a un mero esercizio di stile.
Entrambe queste posizioni secondo Agamben sviliscono tanto la vita quanto la poesia: la prima perché sacrifica la poesia alla vita, la seconda perché sancisce l’impotenza delle poesia rispetto alla vita.
C’è però una terza via quella di una poesia che fa l’esperienza di una indissolubile unità tra vissuto e poetato, una parola cioè che si mescola al mondo. Questa è la poesia che non crea ma inventa. La poesia di Caproni è di questo tipo e se rileggiamo il testo da cui prende lo spunto la traccia d’esame lo capiamo. Lo sentiamo. Lo vediamo.

Che cosa è, prima di tutto, un’invenzione?

Alpha, come abbiamo già detto in un precedente Post, fu la prima delle lettere dell’alfabeto poiché alphe significa Onore e alphainein significa Inventare. Se una lettera da sola è una invenzione figurarsi parole che non hanno mai visto la luce sulle pagine (galagone, lamantino).Parole che da sole inventano per tutti noi un pianeta vivente: il galagone è una scimmia africana, il lamantino un mammifero marino.

Ricordiamo inoltre che una INVENZIONE introduce qualcosa che non esisterebbe senza l’attività creativa dell’ingegno umano (ma diciamo pure, animale). Una buona invenzione serve prevalentemente a risolvere in modo nuovo ed originale un problema (tecnico) o a migliorare un processo. Qui il “problema” era trasferire nei suoni e nei segni una profezia, una catastrofe che il poeta già anticipava grazie ai suoi strumenti di bordo. L'invenzione è cosa diversa dalla scoperta che è invece legata solo al passato e al presente.
Una invenzione cioè racchiude in sé una... proiezione futura e questa poesia di Caproni la rappresenta bene.
Innanzitutto il tema, quello ecologico, in un periodo (la poesia è del 1972) nel quale tali questioni cominciavano ad occupare le scene del dibattito politico, in modo ancora residuale e marginale: nel pieno della illusione da civiltà delle macchine dove benessere e felicità sembravano alla portata di tutti e invece già si potevano scorgere i semi di una ridistribuzione di costi e benefici sbilanciata sempre a favore di pochi (i benefici) e a sfavore di molti ( i costi) e quegli altri semi relativi delle aggressioni/depredazioni sulla natura, sull’ambiente, sul mondo e sulla stessa natura umana (non più l’economia a servizio della tecnica ma viceversa la tecnica che cominciava a servire l’economia) con i suoi sedicenti cavalieri del lavoro senza scrupoli.

Caproni mischia così in questa poesia, parole e mondo, passato presente e futuro per descrivere l’azione dell’uomo sulla natura; un'azione che l’uomo compie e dimentica di aver compiuto proprio per continuare a compierla. Da qui l'inevitabile epilogo: la terra potrebbe tornare a essere bella, come era in principio, solo se l’uomo scomparisse.

Oggi a Ferrara si percepiscono 49 °C. Dicono che gli esseri umani possono arrivare a sopportare i 46°C.

Caproni! Chi era costui?
Un radarista. Solo un radarista.

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