giovedì 15 settembre 2016

La Poesia è una passeggiata

La genesi come movimento formale è la cosa essenziale di qualunque creazione; anche di quella poetica[0].

In tale fase, prima di qualunque inizio, la forma esterna, la superficie di separazione tra “nulla” e “qualcosa” è secondaria, derivata. Non è grazie ad essa che una cosa nasce e prende forma, al contrario è necessario che questa superficie di separazione tra “interno” ed “esterno”, si rompa continuamente: spazio e contenuto, Natura e Storia, nascono insieme.

Questo significa che segno e significato di qualunque opera vengono creati insieme e insieme quindi vanno cercati, perché lo spazio è contenuto e il segno è significato.

La Natura è Storia.

Da questo deriva che anche la poesia, come atto creativo, SI fa cammin facendo e anzi potremmo concludere, con Archibald Randolph Ammons, che la Poesia è una passeggiata [1].
In una passeggiata la separazione tra un punto di partenza e uno di arrivo, una origine e una fine, è secondaria: non è grazie a questa distanza che la passeggiata prende forma ma vi è piena identità tra il movimento e quello che stiamo realizzando. Tra la Natura del movimento e il risultato, la Storia, appunto, di questo movimento.
La poesia è proprio questa identità, nell’atto creativo, tra movimento e opera, tra Natura e Storia.

E questo ci porta ad un’altra caratteristica della Poesia come atto creativo: essa non emerge solo perché è stata scritta; perché è stata creata; ma anche perché viene letta; cioè dopo la sua genesi essa è anche la sua evoluzione.
È sempre ancora una volta una questione di eliminare o attraversare quel sottile diaframma che separa chi scrive da chi legge, chi crea da chi è nella creazione, quasi a voler aprire una porta per andare oltre la pagina, oltre le parole (la porta[2] è una immagine molto appropriata della poesia in quanto rappresentazione del passaggio da una condizione a un’altra e in fondo nella passeggiata noi attraversiamo numerose porte invisibili).

Questo concetti vengono resi perfettamente in modo chiaro ed esplicito in Digging ( Scavando) di Seamus Heaney [3]






Scavando

Tra l’indice e il pollice riposa
La mia penna tozza e comoda come una pistola.
Sotto la finestra il suono netto e stridulo
Della vanga che affonda nella terra ghiaiosa:
Mio padre, che scava. E guardo giù
Finché la schiena gli si abbassa fra le aiuole
E torna su come vent’anni di prima
Piegandosi a tempo tra le piante di patate
Dove stava scavando.
Con lo stivale rozzo annidato sul vangile
Spostava l’asta fermamente contro
La parte interna del ginocchio. Sradicava le piante
Affondando la lama lucida e noi raccoglievamo
Le nuove patate, ci piaceva
Sentirle fredde e dure fra le mani.
Per Dio, il vecchio sapeva maneggiare la vanga.
Proprio come il suo vecchio.
Tagliava più torba mio nonno in un giorno
Di ogni altro uomo nella torbiera di Toner.
Una volta scesi a portargli il latte
In una bottiglia col tappo di carta. Si alzò
Lo bevve, e si rimise subito al lavoro
Incidendo e tagliando nettamente, sollevando
Zolle sulla spalla, e scendendo sempre più giù
Per trovare quella buona. Scavando.
E mi torna in mente l’odore freddo della terra
Delle patate, lo scalpiccio sulla torba fradicia,
I colpi risoluti della vanga tra le radici vive.
Ma io non ho la vanga per seguire uomini così.
Tra l’indice e il pollice
Ho la penna.
Scaverò con quella.



Vediamo in che modo questa poesia è una passeggiata.

Per prima cosa il testo usa il corpo interamente proprio come si fa quando si passeggia: mani, gambe, respiro, sensi. E lo fa dichiarandolo dal primo verso con quella penna che riposa tra l’indice e il pollice e che le permette di scriverSI.

Una passeggita, appunto, SI fa.

Una seconda somiglianza è che questa poesia, come ogni passeggiata, è irriproducibile perché legata a persone, topologie, etimologie e antropologie specifiche: i calli delle mani del padre di Seamus, la schiena curva sul campo di patate, il nonno che taglia in un giorno più torba degli antenati di Tober nelle antiche torbiere d’Irlanda. Non c’è nessun altro che potrebbe riprodurre questo stesso identico percorso, che possieda cioè la stessa Natura e Storia (lo stesso passo!) di Seamus Heaney.

Poi questa poesia, come qualunque passeggiata che si rispetti, svolta una o più volte per poi ritornare indietro. L’origine è davvero la meta, anche se noi non siamo più quelli che eravamo all’inizio della lettura, della passeggiata.

Vi è infine un’altra importante somiglianza tra questa poesia e una passeggiata: il movimento , il suo accadere nel corpo di chi cammina e nel corpo delle parole; e per capire questo movimento, senza limitarsi a guardarlo dall’esterno, c’è solo un modo: entrarvi dentro.

La penna stilografica “tozza e comoda come una pistola”, tenuta tra l’indice e il pollice, serve al poeta come attrezzo di scavo. Nettissimo il proposito: continuare a scavare come gli antenati nelle torbiere ma con un altro tipo di vanga.

Nella sua raccolta più importante, North, Heaney [4] è riuscito a presentare la genesi della questione irlandese partendo dalle origini quasi mitiche del mondo celtico, delle incisioni sulla roccia e dei sacrifici umani.

I corpi degli antenati, mummificati e conservati intatti nella torbiera, parlano di se stessi e di questa origine che si perde nella preistoria. C’è una racconto di P. Auster [5] in cui un uomo, sciando s’ imbatte in un corpo perfettamente conservato dal freddo e che si rivelerà essere quello di suo padre che su quella pista era scomparso molti anni prima. L’esperienza di rivedere se stesso giovane, di essere cioè ritornato indietro, segna il protagonista nel suo rapporto tra la sua natura e la sua storia personale.
Così è successo nella torbiera di Tober come ci ricorda Franco Buffoni [6] nel suo bellissimo saggio su Seamus Heaney:

“...North era stato anticipato pochi mesi prima dall’uscita presso Rainbow Press di una plaquette composta di otto poesie e intitolata Bog Poems (Poesie della palude). Il libretto era corredato da una diecina di impressionanti riproduzioni fotografiche, tratte dal volume del danese Peter V. Glob, dedicato al popolo delle paludi, apparso a Copenaghen nel 1965 e a Londra quattro anni più tardi.
Impressionanti i primi piani dei corpi di uomini e donne conservatisi intatti nella torba dall’età del ferro, grazie all’acidità dell’acqua, con gli ornamenti, le suppellettili, persino i capelli. Tanto da apparire body più che corpse...

...Il 1969, l’anno in cui Heaney scopre il volume di Glob, è anche l’anno in cui riprende sanguinosamente il conflitto nord-irlandese. Le parole introduttive di Glob, che individua in gran parte dei corpi sepolti nella torba delle vittime sacrificali, propiziatorie alla fertilità della dea del territorio, associate alle immagini, sortiscono sul poeta un doppio effetto. Quei corpi raccontavano una storia del passato remoto, ma – morti violentemente come erano: sacrificati – costituivano anche la metafora concreta, tangibile di quanto in Irlanda avveniva ogni giorno in quegli anni. Il sacrificio umano alla divinità assurda dell’antica etnia appariva pertanto al poeta come connesso all’alterigia dei nuovi padroni. Da qui – da questo rapporto violento tra natura e storia, da questa analogia per contrasto tra antichi bog people e contemporanei cittadini dell’Ulster massacrati – scaturisce il senso profondo della poesia di Heaney...

...I corpi, gli oggetti e le parole vengono quasi posti sullo stesso piano, trattati allo stesso modo. Nel senso che il poeta soppesa il suono e l’etimologia delle parole che lo emozionano, come se fossero pietre. E nel contempo, sfiorando gli oggetti, li rende impalpabili, irreali, astratti, come se fossero concetti o suoni. Parole come bog (palude) o ban-hus (fattoria, casa bianca) finiscono col giungerci talmente materializzate alle proprie radici etimologiche da divenire esse stesse “la cosa”. Oggetti come la vanga abbandonata dallo scavatore di torba, rinvenuta per caso dal poeta avvolta nel muschio, umida e silenziosa, diviene parola e poi persona, grazie alla sensualità che il poeta sa infondere all’atto del suo ripenetrare nella terra dopo anni, e persino del suo uscire dal verde facendo mollemente schiudere le labbra alla vegetazione...

...Più in generale si può osservare come Heaney, nel solco della più alta tradizione anglosassone, miri esemplarmente alla precisione lessicale (botanica, scientifica). Egli non scrive “alberi”, bensì ontani, tigli, betulle. Allo stesso modo, se si chiama “vangile” l’escrescenza in legno del badile su cui preme il piede del contadino, egli scrive vangile. Peccato per chi conosce poche parole....”

Peccato per chi fa poche passeggiate.

Nel 1984 Heaney pubblica un altro libro fondamentale Station Island, [7] dal nome di una isoletta situata nel centro del piccolo lago irlandese , il Lago Rosso. Questa isola era meta di pellegrinaggi fin dall’Alto Medioevo, dopo che San Patrizio, ispirato da Dio, tracciò col suo bastone un ampio cerchio proprio nel mezzo dell’isola, e la terra si staccò e sprofondò formando un pozzo. Chi fosse entrato attraverso questa porta del Purgatorio avrebbe potuto espiare le pene da vivo.
Solo pochi di coloro che decisero di sottoporsi alla prova ne uscirono vivi perché il rosso del lago era il sangue di mostri d’acqua e serpenti che furono uccisi da san Patrizio.

Station Island è la “passeggiata” che Seamus Heaney compie nel fondo della propria coscienza chiedendosi come dovrebbe vivere e scrivere un poeta. E’ una passeggiata che gli permette di guardare il paesaggio e nel contempo di ...andare e tornare indietro, cioè di ritrovare se stesso nella sua identità tra Natura e Storia.

Dopo questa raccolta Heaney decise di trasferirsi dall’Ulster a Dublino e di non scrivere più in gaelico, ma in inglese.

Così alla fine di una “semplice” passeggiata l’Irlanda diventa l’isola che scompare, “The Disappearing Island”, come recita il titolo di una delle poesie più note della raccolta The Haw Lantern (La lanterna del biancospino)[8] e un contadino cattolico irlandese diventa uno dei più grandi poeti di lingua inglese.

Tornando indietro, come si conviene ad una passeggiata, siamo all’origine , anzi alla genesi della creazione anche di questo post che passo dopo passo ha rinvenuto l’origine e l’evoluzione di Seamus Heaney e della sua Poesia nonché il proprio punto di partenza.

La genesi come movimento formale è la materia essenziale di qualunque creazione. Anche di questa[0].


Riferimenti

[0] – Questo Post

[1] – A. K. Di Franco, A Poem is a walk, The Oxford Encyclopedia of American Literature, Volume 1 Oxford University Press (2003)

[2] - Da sempre la porta viene utilizzata con un valore simbolico di passaggio. L’espressione doors of perception del poeta inglese William Blake (1757-1827), per indicare l’accesso dal nulla al qualcosa e viceversa, ispirò Jim Morrison (1943-1971) per il nome della sua band musicale The Doors.

[3] – S. Heaney, Digging da Death of a Naturalist, Faber & Faber (1966)

[4] – S.Heaney, North, Faber & Faber (1975)

[5] – P. Auster, Trilogia di New York, Einaudi (2004)

[6] – F. Buffoni http://www.francobuffoni.it/testo_a_fronte/seamus_heaney_scavando.html

[7] – S. Heaney, Station Island, Faber & Faber (1984)

[8] – S. Heaney, The Haw Lantern, Faber & Faber (1987)

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