lunedì 5 gennaio 2015

Corrado Govoni : cinquant’anni di solitudine

Non esiste riconoscimento più gradito per un poeta di quello ricevuto dalla Musa [1] in persona, da colei, cioè, che è ispiratrice della sua Opera e che da lui viene ripagata con altre e nuove ispirazioni.
E Calliope, sotto mentite spoglie [2], così espresse il suo riconoscimento al poeta di Ferrara:

“...Quell’ebrezza che la sua poesia ci comunicò...non l’abbiamo più trovata nei poeti che ci sono stati parenti più prossimi...La poesia è un’operazione più semplice di un’alchimia, di un’algebra...più vicina ad un arabesco che a una costruzione. Il poeta non deve edificare deve soltanto allineare. Govoni lavorava in plen air, raccoglieva nel suo sacco lungo i grandi pellegrinaggi tutto quello che l’universo gli metteva davanti agli occhi e davanti ai piedi. Assolutamente spoglio di pensieri, idee, di filosofia. Seguiva la sua buona stella come un vagabondo. E in verità non è davvero la merce che fa il venditore. Govoni ci incanta con la sua mercanzia venduta a buon prezzo lì in una baracca suburbana. Il bambino e il vecchio troveranno sempre qualcosa che nessuno aveva mai portato e che avevano desiderato per un anno intero. Verrà, pensavano, il Signor Govoni con la bancarella!”.

Qui la Musa sta dicendo che Govoni è come il Melquiades di Cent’anni di solitudine [3], un vagabondo che rappresenta il collegamento tra Tamara (il paese natale del poeta, in provincia di Ferrara) e il resto del Mondo e come Melquiades con le sue stregonerie, anche Govoni, con la sua arte, salva il “mondo” e la sua “provincia” dalla malattia dell’insonnia, somministrando, contro l’oblio, il suo antidoto, la sua poesia.
Il vagabondaggio di Govoni è un “grande pellegrinaggio sentimentale” che a differenza di quello colombiano di Marquez non richiede cent’anni di solitudine ma solo pochi chilometri di felicità: quelli intorno alla campagna di Tamara e Copparo fino alla grande e misteriosa città vicina[4]:

Era il tempo beato in cui la città
mi sembrava un mistero impenetrabile
di cui si parla come di una cosa
di favole piene d’insidie e meraviglie
.

Molti poeti, soprattutto tra gli ermetici, sono stati definiti proustiani (in alcuni casi erroneamente), Corrado Govoni ,tra i crepuscolari, è sicuramente, uno dei più proustiani. La sua recherche è tutta racchiusa nella Casa paterna[4], il luogo dell’infanzia che fu costretto a lasciare “...come peraltro quasi tutti gli artisti estensi del Novecento...[hanno fatto]... per lavorare e affermare il proprio talento...”[5].
L’aspetto topico di questa recherche memoriale è, come dimostrato[6], la coincidenza; vale a dire il desiderio di far coincidere nello stesso luogo due momenti diversi del tempo.
Nella poesia in generale, e in quella crepuscolare in particolare, si trovano molti luoghi ai quali tornare: case d’infanzia, giardini e boschi in cui si è celebrato il primo amore, luoghi reali e fisici caratterizzati dalla loro esclusività, quasi fossero i “ruderi” di una personale archeologia sentimentale. I pellegrini sentimentali solitamente ritrovano facilmente questi luoghi ma non tutti descrivono allo stesso modo la coincidenza spaziale ad essi legata. La semplice formula : Nulla è cambiato, in cui può riassumersi un pellegrinaggio sentimentale, può voler significare esattamente il contrario. Lo stesso si può dire per la formula govoniana [4]Ora tutto è cambiato:

Ora tutto è cambiato. Sparito è l’ampio focolare
che raccoglieva intorno tutta la famiglia
su cui le rocche biancheggiavano
come un gradito presagio di neve;
e il pendolo di legno
dalla mostra annerita dalle mosche
ha lasciato il posto a una sveglia di metallo
dipinta a color di noce;
la scala è stata trasportata altrove
ed il caro granaio pien di topi
e di fresco frumento rifatto
è diviso in due stanze pretenziose
di modernità.

Cosa sperava di trovare Govoni e cosa ha trovato nel suo pellegrinaggio sentimentale? Ma soprattutto cosa ci ha lasciato di questa sua esperienza? Cosa riesce a salvare (nel senso del to save informatico) di quel mondo, per farlo giungere fino a noi?
Del luogo della recherche abbiamo detto ma sarà bene anche inquadrare il tempo di questa ricerca, cioè l’anno in cui Casa paterna è stata scritta : il 1915, quattro anni dopo l’uscita di Poesie Elettriche[7] per l’Edizioni Poesia che segna l’adesione di Govoni al Futurismo (libro ristampato poi da Taddei nel 1920, in un’edizione “riveduta e corretta” e mancante della dedica presente nella prima edizione -“Ai poeti fururisti: F.T. Marinetti / Paolo Buzzi / Gian Piero Lucini” - come fa notare Giuseppe Lasala nella sua bella introduzione all’edizione del 2008).
Nel suo pellegrinaggio sentimentale, dopo aver vagabondato guidato dalla “sua buona stella”, e aver anche dato un’occhiata al futuro dei futuristi - i quali, per ammissione del suo stesso fondatore, non avrebbero dovuto avere un futuro[8]- il poeta giunge finalmente alla “casa paterna” al suo posto delle fragole. Evidentemente la casa paterna non rappresenta solo lo status del ricordo e della memoria; ma anche lo status della sua Poesia: ciò che realmente vale la pena salvare. Il pellegrinaggio sentimentale di Govoni è un sentiero percorso a ritroso alla riscoperta del senso dell'essere, di quello delle cose. La meta del suo camminare indietro non è la fine di una corsa, il trionfo di alcuna impresa o un premio alla carriera: non è il risultato di qualche particolare allenamento fisico, filosofico, ideologico. La sua reale meta è il camminare verso quel luogo dove davvero è instaurata la sua praesentia (pre-essenza) sulla Terra. La vita è certamente uno stare su e giù per una via, un vagabondaggio. Ma proprio questo brulicare vano ed incessante accoglie la più alta richiesta di avere cura di tutto quello che l’universo ti mette davanti agli occhi e ai piedi e di conservare, riconoscere e dunque ritrovare, un 'posto' che sia proprio nel mondo. La memoria dei luoghi dell'infanzia, ci suggerisce Govoni, è il pretesto di ri-considerare la propria vita e 'ricalcolare' le coordinate esatte del nostro stare-al-mondo. Questa memoria poi diventa anche il pretesto per incontrarsi ancora una volta con la Musa

Fu là ch’io nacqui
a questa meraviglia della vita
bella e fugace come un sogno;
là nella stanza di lucenti armadi
profumati di cotogno
.

Ed è evidente che lì nacque il poeta, nella dimensione magica e necessaria del mito che è differente dalla semplice storia personale , dalla cronaca delle proprie radici. Così questa nostalgia dell’infanzia, anche poetica, si colora dei sensi di un ampio rimpianto per quel mondo organico, intenso, per quell’età dell’oro che la modernità e il futuro renderanno ( come hanno già reso in pochi anni) irrecuperabile e leggendario. Era ed è nuovamente quello il mondo ritrovato , con il suo ritmo ben scandito dalle stagioni :

Il cambiamento delle stagioni
aveva del miracoloso.
L’inverno era il maiale ammazzato nella neve
...
la primavera erano gli spari di pasqua
le rondini e l’arcobaleno sgocciolante di pioggia
...
l’estate era la trebbiatrice
che andava d’aia in aia
...
l’autunno eran le nebbie, l’uva
ed il seminatore, all’alba
...

e dalle preghiere:

Era un continuo ronzio
di preghiere sotto le finestre:
strane preghiere biascicate, senza senso
oh che immenso valore
devono avere per il buon Signore
le preghiere così sbagliate dei poveri.


Oggi, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, possiamo dire che il pellegrinaggio sentimentale del Signor Govoni è il suo modo di ripagare Calliope: dopo tanto tempo, dopo anni di storie tragiche nate anche per gioco, Govoni è sempre lì che ci precede e riappare come un Melquiades, con la sua bancarella di cose magiche, con quell’antidoto necessario a non perdere completamente la memoria e a ritrovare la giusta altezza, il posto delle fragole. E se è vero che “... le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avranno una seconda opportunità sulla terra...” [3], dimenticare un poeta come Corrado Govoni, condannerà questo mondo, questa terra, noi tutti ad una solitudine molto più lunga di cento anni.

Riferimenti
[1]-L’etimologia di Musa ci riporta a mons, alle solitudini montane della Grecia-padane nel caso di Corrado Govoni- e al sentimento di fascinazione che dalla solitudine può scaturire;
[2]- L. Sinisgalli, L’età della luna Mondadori, Milano, 1962;
[3]-G.G. Marquez, Cent’anni di solitudine Oscar Classici Moderni, Mondadori, Milano, 1988;
[4]- C. Govoni, Casa paterna in L’inaugurazione della primavera , A. Taddei & Figli, Ferrara, 1920;
[5]- R. Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, Ferrara, 2013;
[6]- I. Grasso, Coincidenze e strutture topiche della memoria, Status Quaestionis, 4, 2013;
[7]-C. Govoni, Poesie Elettriche a cura di G. Lasala, Quodlibet, Macerata, 2008;
[8]- Quando Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e principale teorico del Futurismo, pubblicò il suo famoso manifesto su “Le Figaro” (20 Febbraio 1909), probabilmente già sapeva che, nell’arco di dieci, anni quella rivoluzione si sarebbe di fatto conclusa e, come lui stesso ebbe a dire, <<…si sarebbe dovuto gettare tutto nel cestino…come cose inutili…Noi lo desideriamo!>>.

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