sabato 3 maggio 2014

Il vaso rosa

La copertina di Internazionale, oggi in edicola, è dedicata al Presidente Uruguayano José "Pepe" Mujica. Ne approfitto per riproporre un mio vecchio Post delle Fragole su questo grande uomo.
                                       
Oggi so solo che non ha senso
sacrificare una generazione
promettendo la felicità
per quella successiva
[José Mujica]
                                                                                

Parte I : la Poesia della Memoria


Un tempo si imparavano le poesie a memoria anche solo per allenare il “muscolo” della memoria. Oggi leggere una poesia - attività sempre più rara - significa ritrovare una memoria di tempi (ed emozioni) dimenticati e questo significato è tanto più vero per la poesia ispanoamericana. Se, in una sorta di approccio antropologico, dovessimo tornare ancora più indietro, agli albori, cioè, del canto poetico, non potremmo che constatare un fatto: la Poesia era lo strumento per ricordare. Si potrebbe citare il caso delle Tavole di Gortina sull’isola di Creta, delle leggi cioè che venivano “cantate” dalla popolazione per ricordare al corpo sociale della comunità quale fosse il diritto di ognuno (anche se, trattandosi di Greci, meglio sarebbe parlare di “giustizia equa” piuttosto che di “diritto”) e quale il dovere. Potremmo continuare ancora con l’Iliade in cui sono descritte poeticamente e, per questo, più facili da imparare e ricordare, le istruzioni per ormeggiare una nave o salpare da un porto. E così via. Ma senza andare troppo lontano e consentendomi una digressione personale si potrebbe ricorrere a questi due esempi. Ho conservato nella mia memoria cinquantenne due brani poetici che hanno a che fare con le api: il primo è una filastrocca di A. Gentili [1] intitolata appunto L’Ape che ho imparato nei primi anni della scuola elementare; la seconda è una strofa di una poesia di F. Garcia Lorca intitolata Gli incontri di una lumaca avventurosa [2]. La prima poesia, con piccole varianti, recita così (a memoria):

C’era un’ape piccolina, dentro un fiore stamattina,
Che suggeva che suggeva mentre il sole risplendeva
Poi l’ho vista via volare fino al suo bell’alveare
L’ho sentita che ronzava forse il miele fabbricava
Quel bel miele dolce e biondo che ai bambini piace un mondo

Ancora oggi mi meraviglio del fatto che questa sia una delle poche poesie che mi sia rimasta infissa nella memoria e mi chiedo <perché proprio questa? Per il ritmo?Le rime? L'argomento?>. Sicuramente anche per questo, ma prima di tutto perché il fine ultimo di questa poesia, quando la imparai, era solo ed sclusivamente quello di esercitare la memoria. Allora, all’età di 7-8 anni non potevo preoccuparmi o intendermi di ritmo e rima ma di sicuro avevo visto volare e sentito ronzare un’ape e di sicuro avevo assaggiato del miele. Quella poesia, quindi, senza alcuna ambiguità, “mi” ricordava e serviva a ricordare e ancora oggi mi ricorda e serve a ricordarmi bambino. Nel tempo in cui imparavo la poesia a memoria, nel tempo in cui l’Uomo riteneva utile farlo, non si soffriva, per dirla con Einstein [3], <il problema dell'ambiguità dei fini>. Detto in altri termini: per quanto i mezzi possano essere o sembrare perfetti – basti pensare ai devices digitali a disposizione per r(e)icordare qualunque cosa- a nulla valgono se i fini restano ambigui. E il fine della poesia non è ambiguo in quanto è il suo mezzo. La poesia non pretende nulla : ...non è un filtro delle cose/né un raro sortilegio né un consiglio preciso/non è costretta a dare un messaggio profondo/né a strappare all’oblio le parole superflue/.../tutto ciò che non è riempie una lunga lista/.../invece ciò che è incide il suo segno/...[4] e predispone a un nuovo paesaggio. Inventa la realtà e un nuovo modo di vederla. Anche una semplice filastrocca come una preghiera o un mantra, senza pretendere null’altro che la ripetizione, può modificare e modificarci. L’altro brano che ricordo a memoria e che, per così dire, mi ha inciso profondamente nella sua ripetizione lungo il corso degli anni è, come anticipato, questo piccolo, prezioso frammento di Garcia Lorca [2]:

Per l’aria dolce è volata un’ape.
La formica agonizzante avverte la sera immensa e dice :
<Ecco chi viene a portarmi su una stella!>

Quindi la Poesia non serve soltanto a ricordare (senza costringerci a farlo) che le “api fanno il miele”- basta ripetere tante volte la filastrocca di prima ed è fatta- ma ci porta anche a destinazione e, nello stesso modo di prima, lo fa senza alcuna costrizione e senza indicarci una strada ma lasciandoci liberi di guardare il paesaggio e di percorrerla alla velocità che desideriamo. La Poesia dunque è ricerca e contemporanea scoperta di un luogo da chiamare casa : alla fine del sentiero, sia procedendo lentamente come il caracol, la lumaca di Lorca, o più speditamente come formiche o ancora volando come api, “qualcosa” ci condurrà a casa. Sembrerà strano ma quel “qualcosa” potrebbe essere un oggetto inaspettato come ad esempio un vasino rosa, si, proprio il nostro vasino nel quale da bambini ci accomodavamo per fare la pipì mentre ripetevamo una cantilena.

Parte II : la Memoria della Poesia

Ci sono cose che non vanno dimenticate e la Poesia più di qualunque altra cosa ce le ricorda. In un tempo in cui non impariamo più nulla a memoria perché tutto sembra essere a nostra disposizione (nel video di un cellulare, nell’hard disk di un personal computer), la Poesia può aiutarci a trovare la memoria di tempi dimenticati perché, come detto e dimostrato, mezzi e fini, strada e casa sono, per lei, interscambiabili se non sovrapponibili. Forse è nella poesia ispanoamericana che si tocca l’apice di questa sovrapponibilità dei ruoli dove anche la parola, la struttura semica dei versi trasmette l’essenza vivida del significato e del significante. Anche “il viaggio avventuroso della lumaca” di Lorca o, come vedremo più avanti, una poesia d’amore del poeta uruguayano Mario Benedetti, racchiudono ed esauriscono l’identità di Paesi costruiti attraverso la lotta contro la dittatura, contro la violazione dei diritti umani e che portanto, quindi, all’interno della loro modernità i segni delle ingiustizie subite, della privazione di libertà, dell’esilio non solo da una terra ma dalla stessa anima comune , dall’umanità. Si può sfuggire a una dittatura allontanandosi “volontariamente” dalla propria terra come fu costretto a fare Mario Benedetti che lasciò l’Uruguay per rifugiarsi tra Cuba, Perù, Messico e Spagna, oppure le si può sfuggire come farebbe una lumaca: senza correre e quindi, se catturata, senza incolpare di questo chi è stato più veloce di lei. José <Pepe> Mujica “sfuggì” alla dittatura facendosi catturare, torturare e imprigionare per 14 anni nella prigione di Punta Carretas di Montevideo. Un uomo non avrebbe potuto sopravvivere in fondo ai pozzi di isolamento di quella prigione ma una lumaca si. Per sfuggire alla dittatura, per venire fuori da quel pozzo buio, senz’acqua, senz’aria e quasi senza vita dove le ossa friggevano ancora per le botte ricevute, il cervello cedeva al più naturale dei pensieri, i polmoni e il cuore all’inutilità del respiro successivo e di un altro battito e i reni, i reni si prosciugavano in un corpo ormai deserto, per uscire fuori da lì, bisognava costruirsi una tattica ed una strategia. Quale può essere una buona tattica per un uomo costretto e dimenticato in fondo ad un pozzo, senza niente? Una buona tattica potrebbe essere ad esempio quella di “avventurarsi lungo il sentiero per vederne la fine”; fermarsi a parlare con le formiche e i ragni di giorno e i grilli e le rane di notte; una buona tattica potrebbe essere ancora quella di scegliere tra follia e compassione, tra un esilio definitivo da sè e la comprensione di tutto e tutti anche di coloro che ti hanno precipitato in fondo al pozzo perchè anche loro come te, in fondo, sono stati esiliati da un’anima comune e sono vittime della follia; una buona tattica potrebbe essere quella di imparare a memoria e ripetere filastrocche, cantilene, poesie, preghiere e soprattutto quella di bere ogni giorno, ogni santo giorno, quello che il tuo corpo riesce a produrre, raccoglierlo come il bene più prezioso nello stesso vasino che usavi da bambino, uno di quei vasini rosa che si tenevano sotto al letto per non avventurarsi da soli al freddo e al buio nel gabinetto fuori dalla casa. E la strategia? La strategia non può che essere una, profonda e semplice più che mai: credere che un giorno qualunque, non si sa come, né si sa con quale scusa, qualcuno avrà bisogno di te. E quel giorno per fortuna è arrivato: il giorno in cui tutti noi abbiamo avuto bisogno di Pepe Mujica! Quando nel 1985 finisce la dittatura militare in Uruguay, Mujica lascia il pozzo con in mano il suo vasino rosa pieno di margherite : come la lumaca avventurosa, dopo aver visitato la fine del sentiero, torna nella sua casetta a mezz’ora di distanza da Montevideo e comincia a coltivare gladioli. In una casetta simile vive ancora oggi, da Presidente dell’Uruguay, insieme alla sua compagna di sempre , a una cagnetta con tre zampe e, potete giurarci, con un vasino rosa sotto al letto. Oggi la prigione di Punta Carretas non esiste più. Al suo posto c’è il centro commerciale di Punta Carretas e per il pensiero purificato di Mujica probabilmente anche coloro che sono “imprigionati” dalla civiltà dei consumi e dalla dittatura del mercato avrebbero bisogno di una tattica e di una strategia per venire fuori da questo “pozzo”. Per questo vale la pena rileggere questa poesia di Mario Benedetti [5], per ritrovare, cioè, una memoria comune che possa aiutarci ad inventare ed inventarci una realtà più sobria. Se con niente - un semplice vasino rosa o una poesia recitata a memoria - si può essere stati felici dentro ad un pozzo, c’è da credere, che si può continuare ad esserlo con molto poco anche fuori.

Tattica e strategia

La mia tattica è  
guardarti
imparare come sei
amarti come sei

la mia tattica è  
parlarti
e ascoltarti
costruire con le parole
un ponte indistruttibile

la mia tattica è fermarmi
nel tuo ricordo
non so come né so
con quale scusa
ma rimanere in te

la mia tattica
è essere onesto
e sapere che tu sei onesta
e che non ci vendiamo
simulacri affinché tra noi due
non ci sia un sipario  
né abissi

la mia strategia
invece è
più profonda e più  
semplice

la mia strategia
è che un giorno qualunque
non so come né so
con quale scusa
avrai bisogno di me.


Riferimenti
[1]-A. Gentili L’Ape
[2]-F.G. Lorca Tutte le poesie Garzanti (2001)
[3]-A. Einstein : “I problemi dell’umanità non sono legati alla imperfezione dei mezzi ma all’ambiguità dei fini.”
[4]-M. Benedetti Poesía (1979)
[5]-M. Benedetti Inventario, Poesie 1948-2000 a cura di M.L. Canfield , Firenze (2001)

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