Di padre in padre, questo è il titolo dell’ultima raccolta di Laura Maria Gabrielleschi (La Vita Felice Edizioni, Milano) con la prefazione di Roberto Pazzi.
Il titolo stesso fa capire che la raccolta si pone come controcanto all’accomodante continuità della specie e in particolare di una specie che nel tempo ha quasi sempre -miseramente- escluso dall’ evoluzione ( per lo meno da quella culturale non potendo fare lo stesso, almeno fino ad oggi, con quella biologica e fisiologica) la femmina della specie: la figlia dunque la madre.
Ancora oggi, a dispetto di tutte le evidenze, si continua a dire: "di padre in figlio" o "le colpe dei padri ricadranno sui figli" , maschi: statene sicuri.
Ma in questa raccolta non si parla di colpe e, sottraendomi dal canto ammaliatore della bella prefazione di Pazzi, non si parla nemmeno di Tempo, non di quello perduto e nemmeno di quello ritrovato. Meno che meno della sua Ricerca.
Qui la Poeta parla di Identità.
Poi ti cerco nel come e nel dove
voglio un nome
per l’anima mia
(pg.13)
La poeta, soprattutto quando è una grande poeta come la Gabrielleschi, sempre si pone sulla superficie tra due stati e da lì osserva e scrive: da questo suo particolare orizzonte degli eventi, spostarsi lievemente da un lato o dall’altro significa soccombere o vivere.
In questo caso ci pare di poter dire che la superficie sulla quale la Gabrielleschi soccombe/vive è quella che separa il dolore della perdita dalla perdita di questo dolore:
questo essere vivi a metà
questo partire e tornare
e dire cose che non potrò dire
questa altalena di dolore
questo non capire
se dalla morte
un giorno si rinasce, davvero
senza paura.
(pg.17)
E’ chiaro: il dolore della perdita fa soffrire ma ancor di più fa soffrire la perdita di questo dolore perché significherebbe abbandonare la ricerca, rassegnarsi a soccombere una volta per tutte e a vivere:
Ore e mesi e anni
occhi che cercano occhi
battiti costruiti a forza.
A stringere il nulla
(pg.18)
E’ il bambino, il figlio, il maschio secondo la (contestata) teoria freudiana ad acquisire la sua identità attraverso il processo di identificazione con il padre, ma per la bambina, per la figlia per la femmina della specie homo, lo stesso Freud confessa che le “cognizioni acquisite sono (in questo caso) insoddisfacenti, lacunose e incerte”,
tanto che la Gabrielleschi registra questo fatto universale in questa terzina densa di senso, emozione e sentimento:
Ma resta l’attimo preciso
in cui il sangue si fa acqua
e la fiamma non arde più.
(pg.23)
Ecco dove la poesia si fa alta: precisamente quando il particolare dolore del Poeta diventa il nostro dolore e quando le domande del Poeta diventano le nostre domande.
Questa è la vera Poesia, quella che mescola le parole al mondo.
Siamo dunque destinati ad essere solo delle cellule vaganti? Faticare ad essere volti di anno in anno, di padre in padre? O come chiede a se stessa la Gabrielleschi :sarò piccola per sempre?
"Il lettore che abbia un briciolo di sentimento fantastico o poetico intuirà immediatamente che …" la Gabrielleschi non si riferisce solo al padre che “cantava nel suo giardino”, ma alla specie dei padri, perché il vero soggetto della nostra esistenza è la specie ( Abramo,…Giuseppe,…) che ci prevede suoi facenti funzione e ci fornisce pertanto di una parola breve
…che fa cantare il gallo al mattino
maturare l’uva nelle vigne
è una parola breve
che toglie il respiro
imbianca i capelli
e riscalda la mia bocca.
L’amore è la parola magica
che apre le porte
e spezza il pane
è la parola che alza l’orizzonte
e ci prepara all’ultima morte.
(pg.67)
Ecco perché Freud per illustrare come si acquisisce identità e relazione usa la metafora sessuale.
Ed ecco perché la Gabrielleschi usa la “tigre assenza” del padre.
Per soccorrere l’autrice nella sua Ricerca dell’Identità perduta vogliamo qui ricordare quello che Calvino scrisse a proposito della Identità:
“La nostra individualità è attraversata da una continuità genetica che si frantuma e miscela incessantemente secondo stratificazioni geologiche che hanno radici sia nella casalinga nascita di un nuovo individuo che nel profondo big-bang spazio temporale. L’Età della Tecnica è congenita.
E allora per non scoraggiarci nella vana ricerca di un nuovo IO non possiamo che fare questo passaggio a un neo-primitivismo post-tecnologico : nella Età della Tecnologia dove qualunque ritmo è minacciato dalla presenza dell’istante l’unica sponda raggiungibile è la Natura, vale a dire recuperare il sentire di una popolazione dell’Alto Volta che nella identità umana distingue nove componenti:
1) il corpo che si riceve dalla madre, 2) il sangue che si riceve dal padre, 3) l’ombra che il corpo proietta, 4) calore e sudore, 5) il respiro, 6) la vita, o meglio una particela della vita, che è un’entità in cui tutti gli esseri viventi sono immersi, 7) il pensiero, suddiviso in intendimento e coscienza, 8) il doppio, che è la parte immortale , che può compiere e subire le stregonerie ( si stacca dal corpo ogni notte per vagare nei sogni, e poi definitivamente qualche anno prima della morte per andare nel villaggio dei morti dove avrà altre due vite e altre due morti da morto e finalmente si incarnerà in un albero), 9) il destino individuale...”
Se Tutto si tiene è perché i poeti, come i ponti, tengono le sponde della specie e perché la donna , la femmina della specie è come
La signora in tailleur bleu
seduta gambe accavallate
al gran caffè di Simo
(gran caffè gran caffè)
e aspetta. Aspetta
aspetta.
Sì, da sempre aspetta...
domenica 30 aprile 2017
martedì 4 aprile 2017
L'Esperienza Poetica
Come è facile verificare, esistono tantissimi libri di poesia e quindi, evidentemente, sono esistiti, esistono e, sicuramente, continueranno ad esistere, tanti, tantissimi poeti. Tutti quanti, anche se in grado differente, in natura hanno fatto, fanno e faranno la stessa cosa: poesia.
Ma è proprio per questa sua intrinseca gradualità che, sotto il nome di poesia, si nasconde qualcosa di cui è difficile riconoscerne la vera natura. C’è chi parla di “emozione” chi di “sentimento”, chi di “visione”; c’è chi, tra illustri intellettuali e poeti stessi come B. Croce, E. Pound, T.S. Eliot, pensa di cogliere e di poter raccogliere in poche righe la natura essenziale della poesia.
Pochi comunque sono i libri che parlano di Esperienza Poetica coinvolgendo, in questo ossimoro esemplare[1], il Grande Gomitolo della poesia, con tutti i suoi intrecci, le diverse intersezioni del suo filare e sfilare e con gli immancabili bandoli della matassa. Già, da dove cominciare? Da quale delle due estremità della "esperienza poetica": la scrittura o la lettura?
Nè dall’una , né dall’altra. Cominciamo invece da qui: dall’allevamento, dall’agricoltura e dalla metallurgia. Perché prima di tutto abbiamo bisogno di contadini... gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento.[2]
Una delle certezze indiscutibili acquisita dalla specie umana nell’arco della sua evoluzione è che non sia possibile superare in ingegno coloro che in un’epoca preistorica hanno scoperto ( o inventato) come addomesticare gli animali, selezionare le graminacee e fondere i metalli in leghe.[3]
Allevamento, agricoltura e metallurgia rappresentano quindi le tre attività umane nelle quali è già presente tutto il repertorio dell’ homo sapiens di oggi.
Nella sua voglia innata di prendere coscienza di sé, l’animale-uomo per sfamarsi, difendersi e riprodursi, per rispondere, cioè, a degli istinti primari, non poteva che ricorrere a queste tre sole ed esclusive attività quali mezzi, perfezionabili di volta in volta, in grado di cosentirgli un fine non ambiguo: quello di sopravvivere a se stesso.
Rinunciare ad una sola di queste attività voleva dire rinunciare a prendere coscienza di sé e questa omissione poteva significare solo due cose: 1) la convinzione che tutto funzionasse bene e che quindi non fosse necessario porsi alcun problema oppure 2) la rimozione della consapevolezza di qualunque disfunzione.
Per essere più chiari: se procurarsi cibo, difendersi dai predatori, accoppiarsi sono o diventano problemi, allora per risolverli bisogna mettere in campo una serie di strategie (allevare, coltivare, difendersi); se, viceversa, queste cose non sono o non vengono percepite come problemi, si muore e ci si estingue, punto.
La poesia è un’attività eminentemente analogica e nasce dallo stretto intreccio, dal gomitolo appunto, che si crea tra la presa di coscienza di sé e le tre attività umane ricordate sopra.
L’esperienza è poetica per questo motivo e la poesia è esperienza per lo stesso motivo: addomesticare gli animali e allevarli; arare campi e selezionare semi per migliorare quantità e qualità dei raccolti; cuocere nel fuoco la materia per fare il pane o nuove leghe metalliche sono cose analoghe alla poesia pur non essendo la stessa cosa.
Il che è come dire che l’emozione è analoga al sentimento pur non essendo la stessa cosa. E oggi sappiamo perché e in che misura non lo sono.
In uno dei tanti libri che parla di poesia e poeti si fa riferimento spesso-troppo spesso- alla emozione, a volte confondendola con la percezione, l’ istinto, il sentimento con quanto, cioè, risulti vago e misterioso: tutto questo, in qualche misura, sembra di diritto appartenere al mondo della poesia.
Eppure non vi è nulla di più concreto e materiale della poesia ( proprio perché è l’analogo di attività produttive e pesanti come quelle descritte). Lo stesso Manacorda nel suo ultimo bellissimo libro [4] ce lo ricorda: ...Come una scultura, la poesia è un oggetto e, inoltre, la poesia è una produzione del nostro corpo, se volete una sublime deiezione. Anche la poesia è materia e, se tale è, non può non avere a che fare con la scienza...
La definizione di sentimento fornita dal neurobiologo portoghese Antonio Damasio è:immagine mentale consapevole, riferita al sé, delle modificazioni indotte nel corpo da uno stato emozionale.[5]
In altri termini, proviamo sentimenti (i famosi sommovimenti del pensiero di proustiana memoria [6]) quando le mappe neurali corporee, da inconsce che erano, vengono...sapute, percepite e riferite al sé divenendo immagini mentali. E queste mappe neurali corporee prendono forma e “si sanno” attraverso le tre suddette attività, quando cioè la pratica si intreccia alla creatività: arando un campo si acquisisce un ritmo; controllando i capi di bestiame si perviene a un numero; cuocendo e forgiando nel fuoco si trasforma la materia e noi stessi.
Quando si arriva di fronte al sito del paleolitico di Papasidero (la Grotta del Romito) e si poggia lo sguardo sul graffito raffigurante due bovidi risalenti a 10500 anni fa, si capisce cosa si voglia intendere: un ominide, dedito ad inseguire quel bovide per procacciarsi del cibo, improvvisamente, oltre a vederlo, lo guarda mosso da qualcosa di diverso dalla fame e lo assimila mentalmente tanto da poterlo riprodurre con mano ferma, e in ogni minimo particolare, su una pietra posta all’ingresso di una caverna usata per le sepolture lontano dal luogo di caccia.
Qui in pratica è racchiusa e quindi anticipata la seguente conclusione: la poesia è, sì, un’ emozione ( come chiamare altrimenti ciò che muove il nostro parente del paleolitico) ma cristallizzata nel modo opportuno, raggomitolata cioè in qualcosa di molto pratico: un sentimento.
In tutte queste attività umane, antesignane di quelle che l’uomo ha continuato a scoprire/inventare negli anni della sua evoluzione da ominide a homo sapiens, si ravvisano le operazioni umane che l’archeologia, l’antropologia, l’agronomia, la neurobiologia, la chimica , la fisica....insomma tutte le scienze hanno confermato, e che sono in grado di ex-movere l’uomo allo (dallo) stimolo di raggomitolare quello che vede-muove-avverte-sente-crea con gli immancabili bandoli (sempre difficili da individuare) tra interno ed esterno, mente e corpo, coscienza e cervello. Soggettività e Oggettività.
In queste operazioni biologiche, soltanto il livello del mentale, quale è appunto un sentimento, consente l’integrazione di grandi quantità di informazioni e, soprattutto, di afferrare il filo temporale del gomitolo: presente, passato e futuro.
Andare a caccia per procurarsi del cibo. Portare i capi di bestiame sui pascoli alti. Cuocere il pane o i mattoni, fondere metalli per creare nuovi materiali: “sono” queste le immagine mentali consapevoli, riferite al sé, sono queste le modificazioni indotte nel corpo da stati emozionali che hanno consentito, consentono e consentiranno la poesia.
Questa è l’Esperienza Poetica.
Se “andando a caccia” ci è capitato di osservare più a lungo una preda per mutarla in un animale, o abbiamo ceduto la strada agli alberi [2], una casa ad un paesaggio, stiamo già disegnando.
Se di notte ci siamo fermati al bivacco in un pascolo di montagna e prima di chiudere gli occhi abbiamo dato uno sguardo al cielo stellato, stiamo già scrivendo.
Se con l’aratro tirato da buoi abbiamo percorso avanti e indietro un campo, stiamo già cantando.
Se intorno al fuoco ci è capitato di vedere sciogliersi la pietra o le nostre membra nelle ombre sulle pareti della caverna, stiamo già facendo, poesia.
Riferimenti
[1] - esperienza da ex-perior= esperire, sperimentare; attività posta in essere per acquisire una conoscenza pratica e poetica da poieo= fare creare; attività intesa a produrre componimenti in versi o in generale oggetti d’arte in grado di ex-movere, cum-movere, re-movere, ...
[2] – F. Arminio, Cedi la strada agli alberi, Chiarelettere (2017)
[3] - E. Melandri, La linea e il circolo, Quodlibet (2004)
[4] - G. Manacorda, La poesia, Castelvecchi (2016)
[5] - A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza: emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi (2003)
[6] – M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Sodoma e Gomorra : “L’amore provoca così nel pensiero dei veri e propri sommovimenti geologici. In quello del signor Charlus, che – qualche giorno prima – somigliava a una pianura così uniforme che fino ai limiti estremi egli non avrebbe potuto scorgere un’idea sola levarsi dal suolo, erano sorte d’improvviso, dure come la pietra, catene di montagne […] dove si torcevano in gruppi giganteschi e titanici il Furore, la Gelosia, la Curiosità, l’Invidia, l’Odio, la Sofferenza, l’Orgoglio, lo Spavento e l’Amore.
Ma è proprio per questa sua intrinseca gradualità che, sotto il nome di poesia, si nasconde qualcosa di cui è difficile riconoscerne la vera natura. C’è chi parla di “emozione” chi di “sentimento”, chi di “visione”; c’è chi, tra illustri intellettuali e poeti stessi come B. Croce, E. Pound, T.S. Eliot, pensa di cogliere e di poter raccogliere in poche righe la natura essenziale della poesia.
Pochi comunque sono i libri che parlano di Esperienza Poetica coinvolgendo, in questo ossimoro esemplare[1], il Grande Gomitolo della poesia, con tutti i suoi intrecci, le diverse intersezioni del suo filare e sfilare e con gli immancabili bandoli della matassa. Già, da dove cominciare? Da quale delle due estremità della "esperienza poetica": la scrittura o la lettura?
Nè dall’una , né dall’altra. Cominciamo invece da qui: dall’allevamento, dall’agricoltura e dalla metallurgia. Perché prima di tutto abbiamo bisogno di contadini... gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento.[2]
Una delle certezze indiscutibili acquisita dalla specie umana nell’arco della sua evoluzione è che non sia possibile superare in ingegno coloro che in un’epoca preistorica hanno scoperto ( o inventato) come addomesticare gli animali, selezionare le graminacee e fondere i metalli in leghe.[3]
Allevamento, agricoltura e metallurgia rappresentano quindi le tre attività umane nelle quali è già presente tutto il repertorio dell’ homo sapiens di oggi.
Nella sua voglia innata di prendere coscienza di sé, l’animale-uomo per sfamarsi, difendersi e riprodursi, per rispondere, cioè, a degli istinti primari, non poteva che ricorrere a queste tre sole ed esclusive attività quali mezzi, perfezionabili di volta in volta, in grado di cosentirgli un fine non ambiguo: quello di sopravvivere a se stesso.
Rinunciare ad una sola di queste attività voleva dire rinunciare a prendere coscienza di sé e questa omissione poteva significare solo due cose: 1) la convinzione che tutto funzionasse bene e che quindi non fosse necessario porsi alcun problema oppure 2) la rimozione della consapevolezza di qualunque disfunzione.
Per essere più chiari: se procurarsi cibo, difendersi dai predatori, accoppiarsi sono o diventano problemi, allora per risolverli bisogna mettere in campo una serie di strategie (allevare, coltivare, difendersi); se, viceversa, queste cose non sono o non vengono percepite come problemi, si muore e ci si estingue, punto.
La poesia è un’attività eminentemente analogica e nasce dallo stretto intreccio, dal gomitolo appunto, che si crea tra la presa di coscienza di sé e le tre attività umane ricordate sopra.
L’esperienza è poetica per questo motivo e la poesia è esperienza per lo stesso motivo: addomesticare gli animali e allevarli; arare campi e selezionare semi per migliorare quantità e qualità dei raccolti; cuocere nel fuoco la materia per fare il pane o nuove leghe metalliche sono cose analoghe alla poesia pur non essendo la stessa cosa.
Il che è come dire che l’emozione è analoga al sentimento pur non essendo la stessa cosa. E oggi sappiamo perché e in che misura non lo sono.
In uno dei tanti libri che parla di poesia e poeti si fa riferimento spesso-troppo spesso- alla emozione, a volte confondendola con la percezione, l’ istinto, il sentimento con quanto, cioè, risulti vago e misterioso: tutto questo, in qualche misura, sembra di diritto appartenere al mondo della poesia.
Eppure non vi è nulla di più concreto e materiale della poesia ( proprio perché è l’analogo di attività produttive e pesanti come quelle descritte). Lo stesso Manacorda nel suo ultimo bellissimo libro [4] ce lo ricorda: ...Come una scultura, la poesia è un oggetto e, inoltre, la poesia è una produzione del nostro corpo, se volete una sublime deiezione. Anche la poesia è materia e, se tale è, non può non avere a che fare con la scienza...
La definizione di sentimento fornita dal neurobiologo portoghese Antonio Damasio è:immagine mentale consapevole, riferita al sé, delle modificazioni indotte nel corpo da uno stato emozionale.[5]
In altri termini, proviamo sentimenti (i famosi sommovimenti del pensiero di proustiana memoria [6]) quando le mappe neurali corporee, da inconsce che erano, vengono...sapute, percepite e riferite al sé divenendo immagini mentali. E queste mappe neurali corporee prendono forma e “si sanno” attraverso le tre suddette attività, quando cioè la pratica si intreccia alla creatività: arando un campo si acquisisce un ritmo; controllando i capi di bestiame si perviene a un numero; cuocendo e forgiando nel fuoco si trasforma la materia e noi stessi.
Quando si arriva di fronte al sito del paleolitico di Papasidero (la Grotta del Romito) e si poggia lo sguardo sul graffito raffigurante due bovidi risalenti a 10500 anni fa, si capisce cosa si voglia intendere: un ominide, dedito ad inseguire quel bovide per procacciarsi del cibo, improvvisamente, oltre a vederlo, lo guarda mosso da qualcosa di diverso dalla fame e lo assimila mentalmente tanto da poterlo riprodurre con mano ferma, e in ogni minimo particolare, su una pietra posta all’ingresso di una caverna usata per le sepolture lontano dal luogo di caccia.
Qui in pratica è racchiusa e quindi anticipata la seguente conclusione: la poesia è, sì, un’ emozione ( come chiamare altrimenti ciò che muove il nostro parente del paleolitico) ma cristallizzata nel modo opportuno, raggomitolata cioè in qualcosa di molto pratico: un sentimento.
In tutte queste attività umane, antesignane di quelle che l’uomo ha continuato a scoprire/inventare negli anni della sua evoluzione da ominide a homo sapiens, si ravvisano le operazioni umane che l’archeologia, l’antropologia, l’agronomia, la neurobiologia, la chimica , la fisica....insomma tutte le scienze hanno confermato, e che sono in grado di ex-movere l’uomo allo (dallo) stimolo di raggomitolare quello che vede-muove-avverte-sente-crea con gli immancabili bandoli (sempre difficili da individuare) tra interno ed esterno, mente e corpo, coscienza e cervello. Soggettività e Oggettività.
In queste operazioni biologiche, soltanto il livello del mentale, quale è appunto un sentimento, consente l’integrazione di grandi quantità di informazioni e, soprattutto, di afferrare il filo temporale del gomitolo: presente, passato e futuro.
Andare a caccia per procurarsi del cibo. Portare i capi di bestiame sui pascoli alti. Cuocere il pane o i mattoni, fondere metalli per creare nuovi materiali: “sono” queste le immagine mentali consapevoli, riferite al sé, sono queste le modificazioni indotte nel corpo da stati emozionali che hanno consentito, consentono e consentiranno la poesia.
Questa è l’Esperienza Poetica.
Se “andando a caccia” ci è capitato di osservare più a lungo una preda per mutarla in un animale, o abbiamo ceduto la strada agli alberi [2], una casa ad un paesaggio, stiamo già disegnando.
Se di notte ci siamo fermati al bivacco in un pascolo di montagna e prima di chiudere gli occhi abbiamo dato uno sguardo al cielo stellato, stiamo già scrivendo.
Se con l’aratro tirato da buoi abbiamo percorso avanti e indietro un campo, stiamo già cantando.
Se intorno al fuoco ci è capitato di vedere sciogliersi la pietra o le nostre membra nelle ombre sulle pareti della caverna, stiamo già facendo, poesia.
Riferimenti
[1] - esperienza da ex-perior= esperire, sperimentare; attività posta in essere per acquisire una conoscenza pratica e poetica da poieo= fare creare; attività intesa a produrre componimenti in versi o in generale oggetti d’arte in grado di ex-movere, cum-movere, re-movere, ...
[2] – F. Arminio, Cedi la strada agli alberi, Chiarelettere (2017)
[3] - E. Melandri, La linea e il circolo, Quodlibet (2004)
[4] - G. Manacorda, La poesia, Castelvecchi (2016)
[5] - A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza: emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi (2003)
[6] – M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Sodoma e Gomorra : “L’amore provoca così nel pensiero dei veri e propri sommovimenti geologici. In quello del signor Charlus, che – qualche giorno prima – somigliava a una pianura così uniforme che fino ai limiti estremi egli non avrebbe potuto scorgere un’idea sola levarsi dal suolo, erano sorte d’improvviso, dure come la pietra, catene di montagne […] dove si torcevano in gruppi giganteschi e titanici il Furore, la Gelosia, la Curiosità, l’Invidia, l’Odio, la Sofferenza, l’Orgoglio, lo Spavento e l’Amore.